25 ottobre 2021 13:03

Il formato ideale per la musica dance (termine ombrello fin troppo ampio che raccoglie un variegato universo compreso tra la disco e l’edm) non è necessariamente l’album. La storia della dance è fatta di singoli, di ep, di remix, di versioni estese a 12”, di edit e re-edit, di misteriosi vinili senza etichetta riservati ai dj, di mixtape e di compilation. Raramente di album. Le eccezioni che vengono in mente sono dischi leggendari come I remember yesterday di Donna Summer (1977), C’est chic degli Chic (1978), Club classics vol. one dei Soul II Soul (1989) e Homework dei Daft Punk (1997). Ce ne sono certamente altri ma questi sono quelli che mi sono venuti in mente. E poi c’è Metro Area, l’ambizioso, straripante e fino a oggi unico album della coppia di produttori newyorchesi Morgan Geist e Darshan Jesrani.

Quella di Morgan Geist in particolare è una figura interessante e, come spesso capita nella dance, sfuggente. Ha debuttato nel 1997 con un album strumentale intitolato The driving memories, dedicato al ricordo della sorella morta in un incidente d’auto. Era un album di techno crepuscolare e piena di squarci lirici: sembrava la colonna sonora di un film che avrei visto volentieri. Ha poi lavorato usando diversi pseudonimi (Storm Queen il più noto) e ha remixato singoli per Rapture, Telex, Franz Ferdinand e per i miei preferiti, i canadesi Junior Boys, con il cui cantante Jeremy Greenspan, nel 2008, ha realizzato un album che vi consiglio vivamente di ascoltare, Double night time. L’ossatura della musica di Morgan Geist arriva dalla classica house di Chicago e dalla techno di Detroit, ma la sua vera forza è quella di trascendere i generi, di coglierne le caratteristiche essenziali e di rimescolarle fino a creare qualcosa di unico.

Il lavoro che fa con Darshan Jesrani in Metro Area è proprio questo ma allargando lo sguardo sulla musica dance a 360 gradi: non più strettamente house o techno ma anche disco, boogie, house, funk e jazz fusion vengono sezionati nelle loro particelle essenziali e riassemblati per creare una macchina tutta nuova. I Metro Area lavorano come dei genetisti, ibridando e innescando filamenti di dna di quarant’anni di musica da ballare, creando qualcosa di nuovo e luccicante, che suona familiare non perché sia nostalgico o rétro ma perché tocca delle corde profonde: quelle dei ritmi, delle sequenze e dei groove che ci fanno muovere. Metro Area è uno di quegli album che arrivano direttamente al cervello rettile di chiunque abbia almeno una volta in vita sua frequentato un club, una balera o una discoteca.

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Morgan Geist è, naturalmente, un nerd della dance, un accumulatore seriale dei vinili più esoterici, oscuri e dimenticati: è uno dei pochi statunitensi ad avere un culto per gli italiani Gaznevada e una conoscenza enciclopedica della italo disco. E questa sua cultura atomizzata in miliardi di frammenti viene tutta riversata in Metro Area e ne diventa il tessuto connettivo. “Non compro mai dischi nuovi”, ha detto Geist in un’intervista del 2004 alla rivista Stylus. “Quello che mi piaceva della house e della techno delle origini era che nasceva da macchine di seconda mano, rivendute dai grandi studi di registrazione che non le usavano più perché obsolete o mezze rotte. Ora è diventato una specie di standard”.

Ascoltiamo il pezzo che apre l’album: Dance reaction. Gli elementi della disco music più classica sono tutti al loro posto e si sovrappongono uno sull’altro con eleganza: un ritmo serrato, un basso funky, un riff di chitarra e degli abbellimenti di archi arrangiati da Kelley Polar, un altro esponente di spicco della scena dance di New York. È tutto molto classico, ma allo stesso tempo questa musica sembra nascere in un vuoto pneumatico: tutti gli ingredienti del pezzo sembrano segni astratti, elementi grafici scontornati su un fondo bianco. È lo scheletro della disco music, pura ingegneria… eppure il suo richiamo è irresistibile. È il suono di un archetipo, il riflesso dell’idea platonica di disco music.

Ogni pezzo successivo è organizzato in modo analogo: cassa dritta, un tema che parte e infinite variazioni, loop, interpolazioni, handclaps, snare drums, hi-hats: tutto l’armamentario di effetti della musica dance, anche i più scadenti. Anzi, soprattutto quelli più scadenti, quelli che nella visione poetica di Morgan Geist rimandano alle origini povere e smanettone della house. Non mancano però le raffinatezze: assoli non campionati e suonati per l’occasione, tra chitarra, percussioni, fiati e un flauto straordinario in Machine vibes.

I pezzi sono tutti strumentali e tutti fondamentalmente disco ma, come ha detto Darshan Jesrani, l’altra metà dei Metro Area, “gli arrangiamenti e i mix sono del tutto ispirati alla house e alla techno, quindi alla fine ci siamo ritrovati con dei pezzi disco minimali, come svuotati”. L’effetto che fa questo album ascoltato nella sua interezza, perché Metro Area è un album e va ascoltato come tale, è quello di un bellissimo edificio di cui puoi vedere, come in uno spaccato, le fondamenta, le tubature, gli impianti elettrici e di smaltimento e le intercapedini. Metro Area è stato descritto come un classico nu-disco. Io le definirei piuttosto come un lavoro meta-disco: musica per ballare fatta di miliardi di frammenti di altra musica per ballare.

Metro Area
Metro Area
Source, 2002

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