31 gennaio 2022 14:02

Nel 1984 la carriera di Nicoletta Strambelli, in arte Patty Pravo, è arrivata a un punto morto. Ha 36 anni e, dopo i grandi successi della fine degli anni sessanta e degli anni settanta, in Italia si parla di lei più per dei presunti scandali che per la musica. Patty Pravo è un bersaglio facile per la stampa scandalistica: sempre bellissima, bionda e orgogliosamente nomade e sessualmente liberata, appena smette di avere successo, viene presa di mira e descritta come una ex diva tossica e infelice, sempre pronta a spogliarsi per fare due lire. Nel 1980, più per sfregio delle convenzioni che per soldi, compare nuda prima su Playboy e poi sul più ruspante Playmen, e nel 1983 arriva a riviste pornografiche vere e proprie come Le Ore e Men. Su questi giornaletti è in copertina con titoli come “Patty Pravo e le terribili tentazioni erotiche” e “Patty Pravo e la sua équipe a luci rosse”. Anche in quel contesto, con il suo seno minuscolo e quello sguardo da bambina sfrontata (“da pseudo bambina” come si descrive lei stessa), non ha nulla di pornografico: sembra un’aliena piovuta lì per una qualche distorsione spaziotemporale. In quegli anni Patty Pravo vive più che altro in California e negli studi Automatt di San Francisco incide un album rock, Cerchi, uscito per l’etichetta Cbo, che ha scarsissimo successo.

Quando decide di partecipare al festival di Sanremo nel 1984 lo fa con una nuova etichetta, la Cgd di Caterina Caselli, e con la ferma intenzione di fare il suo ritorno sulle scene come la più grande diva della canzone italiana. La Patty Pravo dei primi anni ottanta era una strana bestia, ma era una strana bestia anche il festival della canzone italiana. Il 1984 vede il grande ritorno di Pippo Baudo e l’evento dell’Ariston comincia la sua lenta metamorfosi da popolare concorso canoro a dopatissimo contenitore televisivo nazionalpopolare, specchio deformante di vizi e virtù del paese. È il Sanremo degli scandali (dal falso contratto di partecipazione di Loretta Goggi ai Queen che, costretti a cantare in playback Radio Ga Ga, si esibiscono senza avvicinare i microfoni alla bocca) e della cronaca che irrompe nella diretta tv (Baudo ospita sul palco gli operai dell’Italsider di Genova in agitazione). È il Sanremo per famiglie che premia Ci sarà di Al Bano e Romina Power, ma è anche il Sanremo modernista che ospita la new wave di Garbo e di Alberto Camerini e il pop tropicalista del Gruppo Italiano. È soprattutto il Sanremo in cui il pubblico scopre un giovanissimo Eros Ramazzotti e s’innamora perdutamente di lui. Per una diva consumata ma data per finita, come Patty Pravo, è una partita difficile da giocare: come non sembrare un rudere degli anni settanta nel Sanremo del riflusso e dell’edonismo reaganiano? Lei si prepara e decide di presentarsi con un grande pezzo, sottile e onirico, appena spruzzato di elettronica, e con un’entrata in scena memorabile.

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Il suo look (non dimentichiamoci che era l’epoca del Roberto D’Agostino “lookologo”) rimane segreto fino alla prima serata e, come una grande diva, si rifiuta di apparire nella passerella iniziale insieme agli altri concorrenti della gara. Quando arriva il suo momento e scende la scala che s’illumina a ogni suo passo il pubblico dell’Ariston e i telespettatori di ogni età trattengono il fiato: Patty Pravo è tornata. L’abito di maglia metallica ideato per lei da Gianni Versace è un incrocio tra un abito da sera e il kimono di una geisha dello spazio. Dal punto di vista del disegno e dei materiali è la trasformazione dei miniabiti in maglino metallico che Paco Rabanne aveva creato per Jane Fonda in Barbarella in un massimalista, opulento abito da sera degli anni ottanta. Patty Pravo mette in scena, già solo con il suo look, la trasformazione da scatenata ragazza del Piper a sofisticata icona dei barocchi e postmoderni anni ottanta.

La canzone, scritta per lei dal fidato Maurizio Monti (1941-2021) – già autore di uno dei suoi pezzi più belli, Morire tra le viole s’intitola Per una bambola. Quanto è sfarzoso il suo look tanto la canzone è minimale e appena sussurrata. Patty Pravo torna a cantare di bambole dopo La bambola, suo grande successo del 1968. Stavolta però il tono è diverso: la donna-giocattolo che viene buttata per terra da un bambino capriccioso stanco di giocare, qui diventa un feticcio fatato. Anche qui la donna-bambola viene trascurata e maltrattata ma la narratrice della canzone è pronta a riprenderla, a pulirla, a pettinarla e a rivestirla. “Si dice in giro che la tieni male… come fai?”, sussurra Patty Pravo.

È affascinante e molto sottile questo parlare sempre per interposta persona: la voce narrante della canzone, senza sesso e senza età, sembra seguire le vicende della bambola da una distanza siderale: viene a sapere da altri che viene trascurata, la cerca, come sorvolando un paesaggio pastorale tra colline e fiumi, e poi scopre dov’è ma non cerca un contatto diretto con il suo “sequestratore”: “Mandami a dire se è vero, corro a prenderla”. La bambola diventa un oggetto stregato, contiene quasi l’anima della cantante, simboleggia la sua sete di libertà, di sole, di aria aperta. Con il verso “l’abbellirò con nastri rosa, fiori gialli tra i capelli, riderà incredula, o bambola” il giocattolo senza vita, buttato in un angolo, ritrova la sua bellezza, il sorriso e la sua strada nel mondo. L’interpretazione lunare e distaccata di Patty Pravo fa suonare tutta la canzone come un incantesimo, le sue movenze solenni, lo sguardo perso al di là del pubblico del teatro, trasformano una canzone pop, con evidenti radici in certo folk psichedelico degli anni settanta, in un rituale, un’epifania che si consuma in diretta tv.

Per una bambola, alla fine, vince il premio della critica e Patty Pravo viene spinta dalla Cgd a pubblicare in fretta e furia il suo album. L’artista non è convinta che il lavoro sia pronto ma accetta lo stesso di farlo uscire. Nel febbraio del 1984 esce Occulte persuasioni, il sedicesimo album della sua lunga carriera. La copertina è un ritratto di Patty dipinto su uno sfumato fondo rosa dall’artista e fumettista altoatesino Marcello Jori. Nella grafica compare solo il titolo Occulte persuasioni senza il nome dell’interprete. Basta il geroglifico del suo volto tratteggiato da Jori.

È anche il primo album di Patty Pravo a uscire in compact disc, all’epoca un supporto nuovissimo. L’album è stato realizzato di getto, quasi interamente dal vivo con un personale ristrettissimo: il cantautore di origine serba Goran Kuzminac alla chitarra acustica (molto spesso suonata con la tecnica del “finger picking”) e Maurizio Guarini dei Goblin alle tastiere. Occulte persuasioni è un album pop minimale, diafano, che mescola acustica ed elettronica in modo sottile e assolutamente pioneristico per i tempi. Anche la scelta delle canzoni è studiata nel dettaglio: su nove pezzi, sei sono scritti da un Maurizio Monti in stato di grazia, delicato e surreale. Tra gli autori compaiono anche Riccardo Cocciante (in Passeggiata, quasi una pagina di realismo magico) e Paolo Conte (con lo pseudonimo Solingo, nell’energica Viaggio). I temi del nomadismo, della libertà, dell’esotismo come fuga e ricerca di sé tornano in tutte le canzoni che chiaramente sono state scritte con in mente Patty Pravo. “Da domani sarò in Messico sotto una coperta ruvida”, canta in Viaggio: “…meno sola”.

L’album ha scarsissimo successo, si salva solo il 45 giri sanremese che va discretamente; la svolta onirica e intimista di Occulte persuasioni non viene premiata dal pubblico e le relazioni tra l’artista e la Cgd s’incrinano. Patty Pravo è poco convinta anche nelle interviste promozionali per il disco. In un maldestro incontro televisivo del 1984, Gianni Minà le chiede se si sia mai sentita “violentata” da questo mestiere. Patty Pravo, senza perdere il sorriso risponde: “Sempre. È un’illusione pensare di non esserlo. Come mi difendo? Facendo finta di nulla”.

Patty Pravo
Occulte persuasioni
Cgd, 1984

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