29 aprile 2017 10:03

Prendendo la decisione di andare in Egitto contro ogni prudenza o convenienza, Jorge Mario Bergoglio ha scelto di dirigersi direttamente nell’occhio del ciclone; non ha infatti avuto importanza che la meta fosse considerata ad alto rischio, che poche settimane fa due attentati abbiano colpito le chiese e le comunità cristiane copte facendo strage, che insomma il paese si trovi, e non da oggi, nel mirino del terrorismo.

L’Egitto è, per molti versi, il paese simbolo della crisi di cui è preda il Medio Oriente da diversi anni e dunque è anche il posto nel quale, specularmente, va cercata la soluzione, o almeno una possibile via d’uscita, dal caos contemporaneo. Il papa dunque non ha compiuto una visita formale o prevedibile, i suoi viaggi del resto si muovono spesso in un orizzonte che contiene già una parte del messaggio: Lesbo, Lampedusa, Ciudad Juárez, Cuba, la Repubblica Centrafricana, Scampìa, per dirne alcune.

Negli ultimi anni l’Egitto è stato scosso prima dalla rivoluzione di piazza Tahrir e la caduta del rais Hosni Mubarak, poi dalla vittoria elettorale dei Fratelli musulmani, quindi dalla crisi del loro governo e dalla nuova rivolta, appoggiata da apparati dello stato, che ha rovesciato Mohamed Morsi per far salire al potere un altro militare divenuto presidente: Abdel Fattah al Sisi, ennesima incarnazione di un regime autoritario ammantato di laicità e sostenuto dalla necessità di combattere l’estremismo fondamentalista. I giovani che reclamavano diritti civili e giustizia sono stati battuti da conservatorismi e militari, così, nel frattempo, le carceri si sono riempite di oppositori e la storia di Giulio Regeni racconta della brutalità efferata e disumana di cui sono capaci le polizie dei regimi mediorientali.

L’Egitto ha bisogno di essere trattato da nazione con un ruolo chiave in Medio Oriente e non solo come baluardo repressivo per conto terzi

È all’interno di questo inestricabile grumo di problemi che si è andato a infilare Francesco, cercando di tendere la mano a un paese che non ha bisogno di lezioni ma di essere trattato da partner, da interlocutore, da nazione in grado di giocare un ruolo chiave nel Medio Oriente e non solo come baluardo repressivo per conto terzi. Sfida difficile? Più che difficile ardua, forse impossibile. Eppure è su questo piano che va letta la visita del papa, è in questo complesso scenario che è avvenuto l’incontro fra il grande imam di Al Azhar, Ahmed al Tayeb e il vescovo di Roma. Lo sforzo comune è quello di disarmare le religioni: l’identitarismo crociato in occidente, la guerra santa come risposta all’eterna crisi araba dall’altra.

Ma Francesco, intervenendo ad Al Azhar, importante centro di studi dell’islam sunnita, ha fatto un passo in più. Populismi ed estremismo fondamentalista, i fautori di una religione al servizio della guerra di religione, sono stati messi insieme, in una stessa categoria, quella degli oppositori della civiltà dell’incontro e del dialogo. In tal senso il papa ha voluto compiere un’operazione precisa, vale a dire collocare in un unico campo i nemici della pace, ovunque si trovino, senza gerarchie o “mali minori” di sorta. C’è anche dell’altro, però. Bergoglio ha criticato con precisione la religione che usa la violenza e quella, attenzione, che si fa usare dal potere, che si lega ai governi, agli stati, alla politica, alle fazioni; non solo in versione estremista dunque, ma in una lettura che tocca da vicino anche i cosiddetti poteri laici del Medio Oriente.

Francesco ha illustrato in tal senso “il perdurare di un pericoloso paradosso, per cui da una parte si tende a relegare la religione nella sfera privata, senza riconoscerla come dimensione costitutiva dell’essere umano e della società; dall’altra si confonde, senza opportunamente distinguere, la sfera religiosa e quella politica. Esiste il rischio che la religione venga assorbita dalla gestione di affari temporali e tentata dalle lusinghe di poteri mondani che in realtà la strumentalizzano”. Un messaggio esplicito che non sarà certo sfuggito alle autorità religiose e politiche egiziane come di altri paesi della regione.

Un leader politico
E se indubbiamente il discorso tenuto di fronte ai leader religiosi musulmani e non solo convenuti ad al Azhar è stato quello in cui Francesco si è espresso con più libertà di pensiero toccando molti dei temi a lui più cari, quando ha incontrato successivamente le autorità politiche e civili dell’Egitto, ha dato prova di saper agire da leader politico a tutto tondo. Nelle sue parole era infatti possibile leggere il tentativo di restituire al paese crocevia di tutte le crisi e di tutti i negoziati del Medio Oriente degli ultimi decenni, un ruolo di attore principale, affinché, di fatto, non fosse più solamente famigerato per le sue prigioni, ma tornasse al centro della scena mediorientale.

Una scelta discutibile quanto si vuole, ma di certo di alto profilo politico cui dovrebbero guardare con grande attenzione le famose cancellerie occidentali per uscire dal guscio claustrofobico delle loro crisi interne. D’altro canto Francesco non ha criticato il regime di Al Sisi (né avrebbe avuto alcun senso farlo in una visita così delicata dal punto di vista diplomatico e di tale respiro interreligioso), ma ha pronunciato parole chiare sull’uguaglianza tra tutti i cittadini, sulla pace, la libertà di cui ognuno deve godere, sul rispetto dei diritti inalienabili delle persone, che è più di quanto molti leader politici europei siano riusciti a produrre (tra l’altro Francesco ha affermato: “La pace è dono di Dio ma è anche lavoro dell’uomo. È un bene da costruire e da proteggere, nel rispetto del principio che afferma la forza della legge e non la legge della forza”). L’Egitto di Francesco è un alleato possibile perché nell’inclusione e nel partenariato fra pari c’è la possibilità di un’evoluzione; viceversa se il Cairo resta solo la sentinella feroce contro le cellule jihadiste, tutto è concesso al potere di turno.

Francesco ha parlato anche di diritti umani, assegnando una funzione pubblica ai leader religiosi in nome della civiltà dell’incontro

Interessante, in tal senso, anche il passaggio del discorso pronunciato ad Al Azhar di fronte ai capi religiosi, relativo al rapporto tra violenza e uso distorto della fede, nel quale il papa ha detto tra l’altro: “Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica. La fede che non nasce da un cuore sincero e da un amore autentico verso Dio misericordioso è una forma di adesione convenzionale o sociale che non libera l’uomo ma lo schiaccia. Diciamo insieme: più si cresce nella fede in Dio più si cresce nell’amore al prossimo”.

Un discorso che certamente riguarda l’estremismo fondamentalista ma che assegna più in generale un ruolo ben preciso alla leadership religiosa, quello di non chiudersi in un integralismo assolutizzante e di rifiutare in ogni caso la violenza, in tutte le sue forme. Di nuovo sembra che le parole del papa si allarghino a diverse realtà del Medio Oriente e alle sue innumerevoli vittime. Per questo ad Al Azhar Francesco ha parlato anche di diritti umani, assegnando ancora una funzione pubblica ai leader religiosi in nome della civiltà dell’incontro. Non a caso su questa stessa strada si sta muovendo il grande imam al Tayeb promuovendo il principio di cittadinanza – ovvero i diritti civili – nel mondo islamico, facendo emergere, finalmente, sia pure un pezzo per volta, uno schieramento musulmano non solo moderato, come si dice, ma riformatore.

Infine Francesco ha abbracciato i fratelli cristiani e papa Tawadros II, i copti vittime del terrore; ma in generale Bergoglio ha voluto mettere in luce che le comunità cristiane non sono minoranze sottomesse o tollerate in Egitto, ma componenti essenziali, vitali e storiche della cultura della storia e del presente del paese, un pezzo vivo di quel poliedro sociale, politico e religioso di cui è portatore l’Egitto e che spesso viene rimosso nell’informazione-lampo su stragi e conflitti di cui ci nutriamo fin troppo facilmente.

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