“In Bolivia la democrazia è in pericolo a causa delle legittime pressioni dei poveri. Non possiamo generare crescita economica e benessere per pochi e poi aspettarci che le ampie maggioranze che vengono escluse osservino silenziosamente e pazientemente”. Sono le parole di un recente presidente della Bolivia, ma non di Evo Morales (che si è appena dimesso).

A pronunciarle è stato Carlos Mesa, l’uomo che Morales ha cercato con l’inganno di escludere dalla presidenza alle elezioni del 20 ottobre scorso. Mesa aveva fatto queste dichiarazioni nel 2005, l’ultima volta in cui è stato presidente, poco prima di andarsene e della vittoria schiacciante di Morales alle elezioni organizzate in seguito alle sue dimissioni.

La maggior parte dei commentatori esterni erano soliti attenersi a un copione classico, quando si parlava di Bolivia. Evo Morales era il buono, in qualità di primo presidente indigeno del paese (è cresciuto parlando la lingua aymara, imparando lo spagnolo solo da giovane adulto) e perché aveva un aspetto e un comportamento che facevano credere che avesse davvero a cuore la maggioranza povera della Bolivia.

L’errore di Morales è stato credere di essere indispensabile. Si è aggrappato al potere troppo a lungo, e adesso si è bruciato

Carlos Mesa, invece, appartiene alla minoranza bianca privilegiata (il 15 per cento della popolazione), che ha sempre controllato sia la politica sia le ricchezze, e quindi doveva necessariamente essere il cattivo. Ma il suo ritratto non si adatta a questa versione: è uno storico e un giornalista televisivo, e si è dimesso dalla presidenza nel 2005 dopo aver cercato, invano, di nazionalizzare l’industria del gas.

Evo Morales ha preso il suo posto, facendo meglio di lui. Ha nazionalizzato non solo petrolio e gas, ma anche le miniere di zinco e stagno, e altre importanti aziende di pubblica utilità. È riuscito laddove Mesa ha fallito perché ha pagato delle buone compensazioni ai proprietari, e ha potuto farlo perché la Bolivia beneficiava di un boom delle materie prime che ha triplicato il pil del paese in 15 anni.

È un po’ di tempo ormai che tale boom è finito, e un politico più astuto di Morales avrebbe potuto decidere di lasciar vincere queste ultime elezioni a Mesa. Poi, nel momento in cui le entrate del paese fossero calate, Mesa sarebbe stato incolpato per la riduzione dei servizi sociali costruiti da Morales, e quest’ultimo sarebbe potuto tornare trionfalmente al potere in cinque anni, sostenendo che Mesa aveva tradito i poveri.

L’errore di Morales è stato credere di essere indispensabile. Si è aggrappato al potere troppo a lungo, e adesso si è bruciato. Manterrà abbastanza sostenitori per essere una presenza politica permanente, ma ha messo in imbarazzo il suo paese ed è improbabile che ricoprirà di nuovo l’incarico più elevato.

Senza limiti
Ai sensi della nuova costituzione del 2009, promulgata da Morales stesso, ogni presidente della Bolivia ha diritto a ricoprire solo due mandati da cinque anni l’uno. Ma avvicinandosi la scadenza del 2019, Morales ha cambiato idea, e nel 2016 ha organizzato un referendum che proponeva di eliminare il limite di mandati per ogni presidente, perdendolo.

Morales si è così rivolto al supremo tribunale elettorale, dominato dal suo partito. Prevedibilmente, il tribunale ha stabilito che il limite costituzionale di due mandati violava i “diritti umani”. E così, lo scorso mese si è presentato con l’obiettivo di ottenere un quarto mandato presidenziale, in corsa con altri otto candidati.

Tutti sapevano che Morales avrebbe vinto e che Mesa sarebbe arrivato secondo al primo turno. Molti temevano però che Mesa avrebbe vinto al secondo turno: e così i consiglieri di Morales hanno deciso che il loro candidato doveva vincere al primo. Questo sarebbe potuto accadere solo se avesse sopravanzato Mesa di almeno il 10 per cento dei voti totali.

Il 20 ottobre scorso il “rapido spoglio” dell’elezione nazionale è andato avanti senza problemi fino a quando è stato conteggiato l’84 per cento dei voti. A quel punto è risultato chiaro che Morales non avrebbe avuto un vantaggio sufficiente nei confronti di Mesa. E quindi, all’improvviso, il conteggio è stato interrotto, venendo ripreso solo 24 ore dopo, quando è apparso che Morales aveva un vantaggio del 10,1 per cento su Mesa, rendendo quindi inutile un secondo turno. Per Morales si aprivano così le porte di un quarto mandato!

Solo che i brogli erano semplicemente troppo evidenti, e per quasi tre settimane i manifestanti sono scesi in piazza. Lo scorso fine settimana perfino la polizia si è rifiutata di difendere Morales.

Quando gli osservatori elettorali dell’Organizzazione degli stati americani (Osa) hanno consegnato le loro conclusioni, domenica scorsa, sostenendo che c’erano state “gravi irregolarità nella sicurezza” nei sistemi informatici e una “chiara manipolazione” del conteggio, Morales si è dimesso. I risultati elettorali sono stati cancellati, ed è piuttosto ovvio che questi non sarà un candidato quando verrà organizzato il nuovo scrutinio.

Quanti danni ha provocato tutto ciò? Non molti. La Bolivia aveva il record mondiale di colpi di stato militari, ma stavolta tutti si sono comportati ragionevolmente bene.

La maggior parte delle buone cose fatte da Morales, come iscrivere i diritti delle comunità indigene nella costituzione, gli sopravvivranno. Carlos Mesa, che quasi sicuramente sarà il nuovo presidente, ha uno stile molto diverso, ma non è ostile a buona parte degli obiettivi di Morales.

Infine una lezione per chiunque faccia politica: se pensate di truccare il voto, fatelo dall’inizio. Non aspettate che lo spoglio mostri che il vostro candidato è in difficoltà, intervenendo solo allora per manipolare le cose. Dilettanti!

(Traduzione di Federico Ferrone)

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