07 luglio 2010 00:00

**1. DoroDoc Band,* W la Suisse***

Ebbri folk-blues da mulattiere della Val d’Intelvi, angolo di provincia comasca con vista sul Canton Ticino: “le radici ca tieni” in versione settentrionale, secondo Dorino Righetti e Lorenzo Vanini. E l’abilità di circondarsi di collaboratori di rango, da Alberto Radius a Davide Van De Sfroos. Sorprendente doppio album: due volte le stesse canzoni, una volta in dialetto alto-comasco, l’altra in italiano, con un registro trotterellante che varia dalle miserie dell’essere *pien da nagott *(ossia indigenti) alle goliardiche osterie da pennello e mattarello.

2. Wolf Parade, Cloud shadow on the mountain

Al galoppo nel rock and roll a corrente alternativa, con questa sorta di supergruppo canadese targato Sub Pop: bruciante attacco del loro neonato album* Expo 86*, gran duetto di sintetizzatori sporchi, chitarrine acidelle, rullanti a cavalcioni, tutto un po’ maltrattato come piace a noi. Sulla copertina ci sono tre mocciosi che rendono bene l’idea della band di Montreal. Anche se loro sono quattro e due (Spencer Krug e Dan Boeckner) sono quelli che si palleggiano le idee, uno più springsteeniano e l’altro più Arcade Fire/Modest Mouse.

3. Chemical Brothers, Horse power

Trainato da un nitrito, una miriade di inquietanti elettroniche fuzzy e un Signor Ritmo, il pezzo caratterizzante di Further, l’ultima cosa fabbricata da questi due ultranerd britannici partiti da Manchester, emersi in qualche scantinato di Clapham Junction e sopravvissuti al turnover spietato di stregoni che caratterizza l’elettronica da balera big beat. Non sono più ragazzi, ma continuano a produrre rumori in grado di mettere in fuga qualsiasi vicinato, e abbastanza originali da affascinare chiunque li ascolti. Troppo avanti, dagli anni novanta.

Internazionale, numero 854, 9 luglio 2010

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