20 gennaio 2011 00:00

1. Kinzli & the Kilowatts, I read your letter

Bello imbattersi in un capolavoro ruspante. Una musica che sa di legni affumicati e montagne rocciose e acqua sorgiva; un country celeste con spezie asiatiche e balcaniche, violini, pianoforti e chitarre e una voce che sa lottare per la pace. È tutto da ascoltare Down up down, e poco importa che lei sia un’orfana coreana tubercolotica, una maestrina di matematica in Colorado, o che la sua musica nata in salotto e trapiantata a Londra parli di sparatorie tra gang, e oppressioni in Birmania e Corea del Nord. Un mondo difficile, e un ascolto che riconcilia.

2. Lilies on Mars, Aquarium’s key

Non c’è penuria di donne che amano la musica sognante, a Londra. Ci sono anche Lisa e Marina, due italiane in esilio che insieme a Matthew Parker ondeggiano in una dimensione parallela, sott’acqua ma anche nello spazio profondo, tra un Octopus’s garden beatlesiano e la *Underwater love *degli Smoke City. Come due sirene dalla dizione esotica, pervase di spirito fai-da-te e ancorate ai fondali del rock da una chitarra che si fa rispettare, attendono di essere captate dai sonar della scena shoegaze/alternativa con l’album Wish you were a pony.

3. Anna Calvi, Jezebel

Non c’è penuria di drama queen che imbracciano chitarre, a Londra. Viene da tifare per la londinese di padre italico che sta meravigliando in tanti. Attorno alla sua musica in cavernoso cinemascope già brilla l’aura luminosa del successo. La sua personalità fatta di vocione drammatico e Telecaster e spazzole nella notte e tendaggi in velluto blu Lynch è coinvolgente; e tirare in ballo l’irreprensibile rabbioso flamenco da diavolessa di Edith Piaf e restituirlo con tale grinta spaghetti western è di per sé un gesto su cui costruirsi una fama da neo-Mina molto pulp.

Internazionale, numero 881, 21 gennaio 2011

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