17 ottobre 2017 17:57

1. Giancarlo Frigieri, Triveneta
Facce sporche e scure da galera. Ascoltare quello che si diventa. A lavorare tutto il tempo, a farsi dire dalla televisione cosa essere. Vite grame del nordest, a costruire muri e barriere. Terreno di scontri e sbarre alla finestra. Melodie montanare ed echi africani. Cantautorato composto, due accordi, erre gucciniana, frasi prese dalla strada e amalgamate in una narrazione. Pochi ingredienti, e incisivi, per La prima cosa che ti viene in mente, ottavo album di Giancarlo Frigieri, artigiano del birignao, credibile custode di un’arte perduta.

2. Willie Peyote, Ottima scusa
Forse è solo perché è preso bene, ha occhiali garbati e il baffetto, ma sembra quasi una specie di Randy Newman all’italiana che si nasconde dietro un’educazione sabauda, o un rapper che al posto delle solite sbruffonaggini minorili ci mette un’attitudine alla scrittura sensata, senza sbandierare né la marca dell’orologio né il marchio politico di riferimento. Si può applicare a lui la stessa la frase clou del suo cantato disincantato: “E non cercavo chissà quale musa/ basta una che dica qualcosa”. Ecco, Willie Peyote dice qualcosa.

3. The Rasmus, Wonderman
Sympathy for the coattoni scandinavi. Questa è per chi ha amato gli A-ha, o gli Europe. Per chi sogna un gruppo derivante da incroci genetici tra gli Abba e i Rage Against the Machine. Metallari melodici finlandesi incontrano la colonna sonora del film Rendel. Riff, falsetti e felpe nere, e pose a non finire. L’album s’intitola Dark matters. È il titolo giusto, quando sei cresciuto con la notte artica. Bisogna studiarseli bene questi supereroi scandinavi, per capire come si fa a essere un po’ brillanti anche a notte fonda. Meglio del solito giallo svedese.

Questa rubrica è stata pubblicata il 13 ottobre 2017 a pagina 94 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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