31 gennaio 2018 17:47
  1. Tune-Yards, Heart attack
    Discomusic sghemba, cigolii artigianali, una passeggiata di basso, emozioni miste su liriche di ponderosa vaghezza, un canto da house-music istrionica, che arriva come un messaggio vocale di WhatsApp: è questo l’orizzonte degli eventi alt-pop del 2018? Si avverte fin dal titolo dell’album (I can feel you creep into my private life) che la cantante Merrill Garbus, mente di questo progetto, gioca tra stilemi alla Lady Gaga e cervellotiche meditazioni sul presente alla Talking Heads. Uno poi si affeziona; ma dov’è la sua Once in a lifetime?

  2. Typo Clan, Slow west
    Due musicisti bresciani (Daniel Pasotti, Manuel Bonetti) si chiudono nella cameretta a fabbricare basi e beat, pensando a nobili feticci come Beck e i Jungle Brothers. Poi tra Berlino e Brescia incidono un condensato di beat, tastiere vintage e ne cavano l’album Standard cream, che sa di nu soul condito di club classics, nutella, hip hop, basi house della vecchia scuola e altre cose da buongustai. In attesa di vederli dal vivo (formazione live vera) ci si accontenta di trovarli gustosi così (forse qualche vocalist ospite in più non guastava).

  3. Hobby Horse, Amundsen/EvidentlyChickentown
    Chissirivede, Chickentown! Altro che Ebbing, Missouri; la fantomatica Cittadina della Gallina, oggetto di un indimenticabile poema sonoro proto-rap di John Cooper Clarke (caro anche ai fan dei Soprano), ode alla ripetitiva vita urbana, risorge qui, in mezzo a circa 25 minuti di ipnotico bordone alla Welcome to the machine. È il brano finale del nuovo album Helm, del trio avant/jazz/tronico composto da due statunitensi, Dan Kinzelman al sax e Joe Rehmer al basso, e da Stefano Tamborrino, batterista italiano.

Questa rubrica è stata pubblicata il 26 gennaio 2018 a pagina 84 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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