08 settembre 2020 17:37

1. Kruder & Dorfmeister, Johnson
Poca roba ma tanta, e sempre quella: trip hop, beat pigro e bassi dalle caverne del tempo, una voce blues che pare una Sweet home Chicago degli spiriti. Evviva, tornano i due austriaci avantissimo che con le K&D sessions inventarono un chillout dub immersivo da starsene panza all’aria come tartarughe a Ibiza per 126 minuti di fila. Un party del 1998 invecchiato molto bene, tanto che ora i due impassibili viennesi fanno seguito con il nuovo album, in arrivo: 1995. Cosa che fa pensare che misurino il tempo all’indietro, tipo Christopher Nolan.

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2. Travis Scott, The plan
E a proposito del regista di Tenet: alla fine del suo nuovo thriller in ordine cronologico inverso (astruso, ma potente nel suo farci tornare indietro ai tempi del miglior James Bond e del pre-covid) parte uno dei macchinari sonori di Ludwig Göransson, concessionario svedese di colonne sonore Marvel (e produttore di This is America di Childish Gambino): un contorcimento di budella autotune su cui il rapper texano Travis Scott butta giù due barre di energia spaesata come noi: “Last time I live reverse” (ben altro reverse era quello di Missy Elliott in Work it).

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3. Qualunque, Verdeacqua
Definito sulla webzine Loudd “il cantautore lombardo del disagio”, anticipa dall’ep Farmaci un inno della sindrome del rientro (“Non saprai mai quante serie tv che ho guardato per provare a scappare via da qui”) e del riesco (“Non ci vuole rabbia per proteggersi serve solo la banalità / circondarsi di progetti in fondo inutili e prima o poi uno di questi ci svolterà”). Parole e ansia di Luca Milani, su gancio groove con minimi tocchi di electronica ricamato dagli indie-producer Fabio Grande e Pietro Paroletti: ore di psicoterapia rese fruibili per tutti.

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Questo articolo è uscito sul numero 1374 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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