Nonostante la condanna unanime dell’operazione contro i curdi, ormai è evidente che Donald Trump abbia dato il suo via libera durante la conversazione telefonica avuta con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Siamo davanti all’ennesima incarnazione della disfunzionalità del mondo, con il disimpegno statunitense che lascia campo libero a una potenza regionale predatrice che agisce difendendo i propri interessi.
Anche se l’amministrazione Trump ha dichiarato di non sostenere l’azione di Ankara, resta il fatto che all’inizio della settimana i soldati statunitensi si sono ritirati delle stesse zone che ora vengono invase dall’esercito turco. L’agitazione politica a Washington non ha dissuaso la Turchia dall’entrare in azione. Soltanto il congresso (su iniziativa dei parlamentari repubblicani che hanno preso le distanze dal loro presidente) sta cercando di fare pressione sul governo turco.
In sostanza questa guerra oppone due alleati degli Stati Uniti: la Turchia, membro di rilievo delle Nazioni Unite, e i combattenti curdi che hanno ricoperto un ruolo cruciale nella riconquista dei territori controllati dai jihadisti del gruppo Stato islamico (Is), con l’aiuto dell’occidente. È chiaro che a Trump sia servita una buona dose di cinismo per consentire che l’esercito turco prendesse di mira i liberatori di Raqqa.
La Turchia contrattacca definendo i combattenti curdi siriani “terroristi” a causa dei loro legami con il Pkk, il nemico interno della Turchia. Questi legami sono reali, ma non è possibile ignorare il ruolo decisivo dei curdi nella battaglia contro l’Is.
L’operazione turca nasce esclusivamente dalla volontà di Erdoğan di eliminare o quanto meno allontanare la presenza dei combattenti curdi. Il presidente turco vuole creare un cuscinetto oltre il confine con la Siria, un po’ come fatto da Israele in Libano del sud per oltre vent’anni.
I turchi vogliono prima di tutto cacciare i curdi dalla regione, non lasciandogli altra scelta se non quella di chiedere aiuto al regime di Damasco sostenuto da Russia e Iran. Se le cose andranno davvero così, l’autorizzazione concessa da Trump a Erdogan avrà un effetto paradossale.
La debolezza dell’Europa e dell’Onu
In un secondo momento la Turchia intende installare nella zona cuscinetto milioni di profughi siriani che attualmente si trovano sul suo territorio. È un progetto difficilmente realizzabile e discutibile sul piano umano, perché non si tratta di un rimpatrio e inoltre avrebbe un costo esorbitante che ancora non è chiaro chi dovrà coprire. Probabilmente Ankara spera di presentare il conto all’Europa.
La condanna generale, prevedibile, si accompagna all’incapacità (o alla mancata volontà) di fermare la Turchia. La Francia ha presentato una mozione al Consiglio di sicurezza dell’Onu, ma si tratta di una mossa esclusivamente politica considerando che la procedura è paralizzata dal costante ricorso al veto da parte delle grandi potenze decise a proteggere i loro “clienti”. L’Onu, ormai, è tornata a essere un sinonimo di impotenza collettiva.
La Turchia ne è perfettamente consapevole. Ankara può contare sull’ignobile arma dei profughi che terrorizzano gli europei, a cui si aggiunge quella potenziale rappresentata dalle centinaia di jihadisti stranieri prigionieri dei curdi che potrebbero ritrovarsi nelle mani del governo turco.
Siamo davanti all’ennesimo episodio inquietante di una guerra che in Siria dura da oltre sette anni e ha portato solo morte e sofferenza. Il fatto che sia il presidente della prima potenza mondiale ad aggiungere guerra alla guerra, anziché contribuire alla pace, è un segno della deriva del mondo di oggi.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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