06 settembre 2017 11:25

La complessa battaglia per il futuro della Siria è qualcosa di mai visto prima in questa regione, o forse nel mondo intero. Un mosaico senza precedenti di attori politici locali, regionali e globali è impegnato nell’uso di strumenti di potere e di influenza e nel confronto militare per raggiungere obiettivi diversi e quasi sempre in contraddizione tra loro.

Per questo, buona parte delle analisi che compaiono nelle sedi di dibattito di tutto il mondo – sia quelle credibili sia quelle dove si leggono sciocchezze – è fatta di congetture scontate e ragionevoli, ipotesi spericolate oppure propaganda interessata. La novità strabiliante degli avvenimenti siriani preclude ogni altra possibilità e le incertezze su quanto potrà succedere in quel paese – ma anche, come indica la storia, nel resto della regione araba – vanno al di là della nostra comprensione.

Tuttavia per una volta la storia non è una buona guida, anche se la Siria ha la storia umana e politica più documentata e accertata di qualsiasi altro luogo della terra, o quasi. Nell’antichità è stata più volte decisiva, come preda o come centro di potere. Ha svolto un ruolo centrale nella nascita (o nella fabbricazione) del moderno sistema statuale arabo post ottomano in cui, allora come oggi, sono intervenute molte potenze straniere.

Sei avvenimenti storici
Eppure tutta questa storia non aiuta affatto a capire dove stia andando la Siria, perché in questi ultimi dieci anni abbiamo assistito alle conseguenze di sei grandi avvenimenti storici che stanno riscrivendo la nozione di stato, di identità, di comunità, di nazionalità, di sovranità e di legittimità in gran parte della regione araba. Vediamo i sei avvenimenti.

  1. Intorno al 1990 abbiamo assistito alle conseguenze della fine della guerra fredda, quando le due superpotenze si sono ritirate da porzioni di questa regione per dedicarsi ad altre priorità. Alcuni governi ed economie hanno perso forza, innescando cambiamenti strutturali nell’interazione tra cittadini, società e stati (inclusa la nascita o rinascita di nuovi stati, staterelli e quasi sovranità nel Kurdistan, nello Yemen del sud, nel Sud Sudan, a Gaza, in alcune zone dell’Iraq, del Libano e del Sinai, del gruppo Stato islamico e in decine di altri).
  2. È diventata stagnante la crescita economica reale, misurata in base al benessere delle famiglie, e si sono aggravate le disparità socioeconomiche. Sono aumentate le pressioni economiche e politiche subite da circa il 50 o 60 per cento dei nuclei familiari arabi a partire dai primi anni novanta. Insieme all’assenza quasi totale dei diritti politici reali si è innescata una frammentazione sociale, economica e politica e si sono disgregati paesi un tempo stabili come la Siria, la Libia, l’Iraq e altri.
  3. L’autorità e legittimità dei governi centrali si è inevitabilmente indebolita, talora fino a crollare. Visto che al mondo non importava più che certi stati arabi, insignificanti sotto il profilo strategico, piombassero in guerre civili sanguinose, vari governi centrali si sono messi al servizio dei loro sostenitori, dei loro alleati settari, dei loro contractor, dei loro soci in affari, dei loro cugini e delle loro guardie, abbandonando a se stessi ampi settori delle rispettive popolazioni.
  4. Per colmare i vuoti creati dalla ritirata dei governi centrali sono emerse nuove e potenti forze politiche e militari non governative locali, spesso basate sull’appartenenza religiosa, etnica o tribale. Tra queste, organizzazioni come Hezbollah e un’altra manciata di grandi raggruppamenti cristiani, musulmani e drusi in Libano; Hamas in Palestina; il movimento di Moqtada al Sadr in Iraq, in continua evoluzione; Ansarullah (gli houthi), Islah e altri nello Yemen; il gruppo Stato islamico e Al Qaeda, e centinaia di formazioni armate islamiste minori, tribali e laiche, che combattono e/o governano principati locali in Siria e in Iraq.
  5. La novità storica più recente è il coinvolgimento diretto di potenze regionali grandi e medie (l’Iran, la Turchia, l’Arabia Saudita, Hezbollah, gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar) negli affari di altri stati, senza escludere ostilità militari attive simultaneamente su vari fronti: si pensi, per esempio, al nuovo ruolo della Turchia in Siria, nel Qatar e nelle regioni curde; al radicato coinvolgimento strategico dell’Iran in Libano, in Siria e in Iraq; alla guerra dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti nello Yemen; al militarismo diretto o indiretto di numerosi paesi del Golfo in Siria e in Libia.
  6. Ciò coincide con le iniziative militari dirette e di lungo periodo di potenze globali all’interno della Siria e dell’Iraq: principalmente della Russia e degli Stati Uniti, che si coordinano in centri operativi congiunti virtuali per far sì che le rispettive aviazioni militari bombardino a piacimento l’interno della Siria. Questa novità si aggiunge alle altre già elencate e completa il quadro di cacofonia militare e politica che lascia la Siria, ma anche altri paesi arabi, in uno stato di imprevedibilità assoluta riguardo al futuro.

Questi drammatici fenomeni hanno avuto nella regione degli antecedenti storici a bassa intensità, ma sono giunti a maturazione solo adesso, convergendo in una situazione come quella della Siria, dove migliaia di attori politici e militari locali, centinaia di nuovi aspiranti e candidati a governare nel dopoguerra, decine di gruppi armati e stati regionali e un pugno di potenze mondiali intervengono contemporaneamente per motivi del tutto evidenti. Ciascuno cerca cioè di tutelare i propri interessi, spalleggiare i propri alleati, contrastare i propri nemici strategici e ritagliarsi qualche punto di appoggio permanente in vista dei loro futuri interessi strategici.

La domanda più importante che resta ancora senza risposta è quale di questi sei grandi avvenimenti sia più significativo, cioè influisce sugli altri e forse ha in sé la chiave del futuro della Siria e di altri paesi arabi vulnerabili. Lo sapremo presto, e nel lessico della storia della Siria, così ricca di assetti statuali e nazionali diversi, “presto” significa entro il 2060 o giù di lì.

Quindi suggerisco di non perder troppo tempo a preoccuparsi di ciò che succederà nei prossimi tre mesi a Raqqa o a Deir Ezzor non più sotto il controllo del gruppo Stato islamico. Sarà invece più utile cercare di individuare i fattori critici delle forze storiche recenti che ci hanno cacciato in questa difficile situazione, così da dare a noi, e ai siriani che tutti abbiamo dentro, una qualche probabilità di uscire da questo tiro a segno.

(Traduzione di Marina Astrologo)

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