11 gennaio 2018 10:24

Dei tanti racconti interessanti contenuti nel libro di Michael Wolff, Fire and fury, dedicato alla Casa Bianca ai tempi di Trump, il più inquietante per gli statunitensi e il resto del mondo sta forse nelle nuove rivelazioni sul modo in cui oggi gli Stati Uniti stabiliscono le loro politiche in Medio Oriente.

Dopo aver trascorso gli ultimi tre mesi negli Stati Uniti, interagendo con tante persone e organizzazioni che si occupano di questioni mediorientali, ho individuato alcune categorie di problemi nell’operato di Trump nella regione.

Queste sono le principali. I funzionari più importanti dell’amministrazione si rapportano ai leader del Medio Oriente in modo immaturo, fondato più sull’intesa personale che sulla conoscenza delle strategie nazionali; Washington prosegue nel tentativo di cambiare i dirigenti arabi come se giocasse a Monopoli; i donatori sionisti americani estremisti e ultranazionalisti hanno tuttora un’immensa influenza nella Casa Bianca; Trump e i suoi collaboratori sembrano provare disprezzo per i paesi e i leader arabi; l’esagerata e onnipresente paura dell’Iran determina le politiche statunitensi; infine vengono prese decisioni unilaterali, presuntuose e perlopiù frutto d’ignoranza su questioni critiche come lo status di Gerusalemme.

La spiegazione del caos
Ovviamente le citazioni presenti nel libro non offrono uno sguardo completo sulle politiche degli Stati Uniti nella regione o nel mondo, ma la coerenza e il tono dei sentimenti espressi dai funzionari della Casa Bianca – in particolare da parte dell’ex capo della strategia e ultranazionalista bianco Stephen Bannon – riflettono un modus operandi, per la principale carica al mondo, che dovrebbe spaventarci molto (i passaggi più significativi del libro sono contenuti in quest’articolo di Middle East Eye).

Il punto principale, a mio avviso, è che decisioni importanti su questioni cruciali che influenzano la vita di seicento milioni di persone in tutto il Medio Oriente vengono prese sulla base delle preferenze politiche dei leader israeliani e sauditi, e sono poi mediate da funzionari statunitensi parecchio ignoranti e spesso molto giovani e inesperti, come il genero di Trump, Jared Kushner.

La rivelazione che lo scorso anno la Casa Bianca di Trump ha gestito le questioni mediorientali soprattutto tramite i leader d’Israele, Arabia Saudita ed Egitto, mossa da un desiderio irrefrenabile di limitare l’influenza dell’Iran nella regione, contribuisce a spiegare perché gli Stati Uniti si trovino coinvolti in situazioni caotiche in tutto il Medio Oriente.

Mai prima d’ora il mondo arabo è stato così diviso, violento, instabile e vulnerabile

Tuttavia, i dirigenti di questi quattro paesi sembrano totalmente ciechi di fronte alla condizione, i diritti, i sentimenti e le aspirazioni dei 400 milioni di persone che vivono nei paesi arabi, e degli altri 200 milioni di cittadini dei paesi vicini. I decisi tentativi, da parte di questi quattro stati, di mantenere la “sicurezza e la stabilità” usando contingenti militari e di polizia, oltre all’imposizione di limitazioni ai diritti economici, sociali e politici dei cittadini, hanno ottenuto il risultato contrario a quello desiderato.

Mai prima d’ora il mondo arabo è stato così diviso, violento, instabile e vulnerabile, alla mercé di persone disperate, potenti autocrati, traditori, terroristi di lungo corso ed eserciti stranieri. Eppure, l’influenza dell’Iran nella regione continua a crescere, come anche quella della Turchia e della Russia, il che rende ridicolo l’approccio degli Stati Uniti alle questioni mediorientali.

Un campanello d’allarme
La decisione di Washington di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele sintetizza tutto quanto c’è di sbagliato e distruttivo nell’approccio di Trump. Ignora il diritto internazionale e le risoluzioni dell’Onu che riflettono un chiaro consenso globale; non prendono in considerazione i sentimenti di centinaia di milioni di musulmani e cristiani in Medio Oriente che considerano l’araba Gerusalemme Est come legittima capitale di uno stato palestinese che in futuro convivrà con Israele; infine è una decisione unilaterale, dovuta soprattutto a impegni politici interni presi con le lobby filosioniste e con donatori politici di destra.

A mio avviso la più folgorante rivelazione del libro è una frase di Steve Bannon, il quale avrebbe dichiarato che la Giordania dovrebbe prendere il controllo della Cisgiordania e l’Egitto della Striscia di Gaza, aggiungendo che gli Stati Uniti dovrebbero “lasciare che siano loro a occuparsene, o che affondino provandoci”.

Un simile disprezzo nei confronti di due alleati arabi di lungo corso degli Stati Uniti come la Giordania e l’Egitto dovrebbe convincere tutti i leader della regione dell’impossibilità, per Washington, di essere un partner affidale. Oggi appare più chiaro che il sistema di governo instaurato da Trump negli Stati Uniti è maggiormente propenso ad accontentare i donatori politici americani filoisraeliani che non a considerare gli interessi dei suoi altri amici e alleati, oppure i dettami del diritto internazionale o le risoluzioni dell’Onu. Si tratta di una ricetta sicura per creare, in Medio Oriente, ulteriori conflitti e sofferenze in grado di diffondersi pericolosamente in altre parti del mondo.

Dovrebbe essere anche un campanello d’allarme per i leader arabi, che dovrebbero svegliarsi e ingegnarsi per recuperare ed esercitare la loro sovranità, al fine di garantire il benessere dei loro stessi cittadini. Altrimenti, ben presto si renderanno conto di essere diventati poco più che delle proprietà sul tabellone di un Monopoli che gli incapaci e immaturi inquilini della Casa Bianca comprano, vendono e buttano via a seconda dei capricci di anziani statunitensi senza scrupoli, ma capaci di sventolare sostanziosi contributi alle campagne elettorali.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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