11 aprile 2013 17:23

Per anni è stato considerato una delle principali voci della letteratura sulla Shoah. Ha creato un genere autobiografico nuovo, raccontando ricordi ed esperienze personali di “un altro pianeta” chiamato Auschwitz. Qualcuno l’ha definito “il primo autore della Shoah” per la sua capacità di far rivivere l’aria e l’atmosfera del lager, mentre altri definiscono primitiva la sua scrittura, e le sue opere al limite del voyeurismo. Oggi sono molti a chiedersi se le opere di K. Zetnik sono documenti letterari importanti oppure pulp fiction, della pornografia della Shoah.

Nato in Polonia con il nome di Yehiel Feiner, in seguito lo cambiò in Yehiel Di-Nur, a causa dell’obbligo morale, diffuso in Israele negli anni cinquanta, di ebraicizzare il proprio cognome. Però la maggior parte dei suoi (numerosi) lettori lo conosce come K. Zetnik 135633. K. Zetnik come campo di concentramento (Konzentration zenter), 135633 come il numero tatuato sul suo braccio sinistro. Una spiegazione fornita anche ai giudici del processo Eichmann.

K. Zetnik non amava la celebrità. Nel suo testamento chiese di aspettare una settimana prima di dare notizia della sua morte, avvenuta nel 2001. Gran parte della sua vita l’ha vissuta dietro un pseudonimo, ma il primo momento di notorietà è arrivato con la sua testimonianza da cittadino comune, e non da scrittore, durante il processo contro Adolf Eichmann. Una testimonianza intensa, rimasta per generazioni nell’immaginario collettivo sia per aver creato il termine “pianeta Auschwitz”, sia per la drammatica conclusione della stessa, terminata con un collasso e la perdita dei sensi.

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(La testimonianza di K. Zetnik è al 23’)

All’inizio era considerato una delle voci più autorevoli nel racconto delle atrocità dei lager, finché, dopo alcune critiche espresse dai più celebri studiosi e letterati israeliani, da voce dignitosa e piena di dolore K. Zetnik cominciò a pubblicare libri ritenuti materiale pornografico, non molto diversi dal genere erotico dedicato alla vita nei campi di concentramento, la stalag fiction diffusa in Israele negli anni cinquanta e sessanta.

Sono nate così figure come la sorella Daniela, costretta a prostituirsi nel blocco 24 di Auschwitz, il bordello di donne ebree raccontato in La casa delle bambole, tradotto in più di trentadue lingue e diventato un successo mondiale, oppure il fratello minore, molestato in Piepel, a cui in seguito viene tolta ogni rilevanza letteraria.

Dal 2003 i libri di K. Zetnik non fanno più parte del piano di studi nei licei israeliani. Le descrizioni (vere o presunte) di scene violente, cannibalismo, pedofilia e sadismo nel pianeta Auschwitz, in cui ogni avvenimento va oltre l’immaginazione e il lecito, sono state abbandonate a favore delle riflessioni filosofiche di Primo Levi ed Eli Wiesel.

In una recente intervista sul quotidiano israeliano Ha’aretz, il ricercatore letterario Gidon Graif ha testimoniato le difficoltà riscontrate nel mondo accademico mondiale a trovare un istituto disposto a ospitare un dibattito su cosa rimane di uno scrittore che è stato al lungo oggetto di discussione e critiche. Solo recentemente l’università di Calgary (in Canada) si è mostrata disponibile a ospitare un convegno dedicato alle sue opere.

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