21 settembre 2011 12:45

La riforma presentata il 12 settembre dalla commissione indipendente sul settore bancario rappresenta una trasformazione radicale degli istituti di credito britannici. Entro il 2015 dovrebbe essere attuata la scissione tra le banche commerciali (depositi, prestiti al consumo e alle piccole e medie imprese) e quelle d’investimento (finanziamenti a lungo termine e operazioni sui titoli).

Grazie a questa misura la Gran Bretagna avrà un sistema più sicuro e competitivo, senza istituti too big to fail (troppo grandi per fallire). La commissione ha avanzato una proposta solida che ha ottenuto l’appoggio del ministro delle finanze George Osborne e realizza uno dei presupposti necessari perché il paese abbia un’economia decente.

Ovviamente non mancano le voci critiche. Secondo i banchieri queste proposte rallenteranno la ripresa, mentre gli economisti sostengono che misure di questo tipo non avrebbero impedito la crisi del 2008. Le loro obiezioni sono sbagliate. Non si favorirà la ripresa salvando l’attuale modello aziendale delle banche, che oggi sono libere di investire l’ultima sterlina del loro capitale in speculazioni finanziarie insensate. Per rendersene conto, basta considerare la recente riduzione dei crediti concessi alle aziende britanniche. La scissione, invece, obbligherà gli istituti a sostenere di più i prestiti sul territorio.

Capitale minimo

La riforma, inoltre, impone alle banche d’innalzare il livello minimo del loro capitale: dalle attuali 4 a 17-20 sterline ogni cento prestate. I critici sostengono che questa misura farà solo crescere il costo medio dei finanziamenti a carico di consumatori e aziende, proprio quando servirebbero più prestiti per favorire la ripresa. Innanzitutto, è dimostrato che in condizioni economiche normali una percentuale di capitale compresa tra il 17 e il 20 per cento del denaro prestato è ottimale e non produce effetti sul costo complessivo del finanziamento.

Ma questi non sono certo tempi normali. Se oggi il capitale fosse fissato a livelli più appropriati, ci sarebbero buoni motivi per allentare i limiti in modo da aiutare le banche a concedere più prestiti. La riforma, però, prevede che l’applicazione della nuova norma sul capitale entri in vigore nel 2019, quattro anni più rispetto all’entrata in vigore della scissione. Questo rende improbabile che gli istituti di credito decidano di abbandonare la Gran Bretagna.

Altrettanto debole è l’argomentazione secondo cui anche con le nuove misure la crisi del 2008 non sarebbe stata evitata. Con la scissione tra banche commerciali e d’investimento, le attività più rischiose sarebbero state molto più evidenti e non sarebbero state sostenute in misura così ingente dai correntisti e dai contribuenti. Inoltre, se la riforma fosse applicata, le banche avranno bisogno di meno capitale per garantire i depositi dei correntisti e gli azionisti.

La commissione, infine, ha esposto un principio fondamentale: le banche non dovrebbero privatizzare i profitti straordinari e socializzare le perdite. Io avrei gradito tempi più veloci per l’applicazione delle misure: la commissione ha lasciato al governo troppo margine di manovra per sottrarsi ai suoi impegni. Ma mi chiedo se chi critica questa riforma abbia pensato che qualunque ministro del commercio e dell’industria nei governi laburisti di Tony Blair o Gordon Brown avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato del conservatore Vince Cable, che è restato sempre fedele ai suoi princìpi. Questo è un grande momento, e dovremmo riconoscerlo tutti.

*Traduzione di Floriana Pagano.

Internazionale, numero 915, 16 settembre 2011*

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