21 ottobre 2019 15:09

Il 25 ottobre è attesa un’altra giornata difficile del sanguinoso calendario iracheno. Le due parti (manifestanti e forze di sicurezza) si stanno preparando a scontri estesi e violenti. Twitter e Facebook sono pieni di striscioni e slogan che inneggiano alle prossime manifestazioni.

Dall’altra parte, militari a volto coperto hanno avviato una campagna di arresti prelevando gli attivisti dalle proprie case e i manifestanti feriti dai letti di ospedale, e incarcerandoli in prigioni sconosciute. Gli organizzatori delle manifestazioni precedenti sono fuggiti nella regione autonoma curda per evitare l’arresto. Uno di loro ha saputo da un suo parente nella polizia che il suo nome è tra quelli dei 300 ricercati dall’esercito.

Con l’inasprirsi delle tensioni le rivendicazioni per il lavoro sono state sostituite dagli slogan che chiedono le dimissioni del governo di Abdul Mahdi. È la stessa struttura del sistema politico (la cosiddetta mukhassasa, il sistema di spartizione confessionale delle cariche) a essere sotto l’attacco dei manifestanti.

Corsa contro il tempo
Il presidente Barham Saleh è arrivato a chiedere una conferenza nazionale che modifichi la costituzione e la legge elettorale per le amministrative, che ha permesso ai partiti dominanti di riciclarsi in tutte e tre le elezioni svoltesi in Iraq dal 2003 in poi.

Negli ultimi giorni il numero dei manifestanti uccisi ha continuato a crescere. Un’organizzazione irachena per i diritti umani ha riferito che i morti sono 108. Ma due attivisti mi hanno raccontato che la cifra è molto più alta, perché tanti sono morti negli ospedali.

Il numero più alto di vittime è stato registrato nel distretto di Sadr City a Baghdad, roccaforte del leader religioso Muqtada al Sadr. Per questo Al Sadr ha rotto il silenzio e ha chiesto ai suoi sostenitori di trasformare il pellegrinaggio sciita al santuario dell’imam Hussein in una manifestazione di protesta e di portare in corteo bare bianche a significare che sono pronti a sacrificarsi.

È una corsa contro il tempo per il primo ministro Adel Abdul Mahdi. Tutti i suoi avversari gli hanno dato la piena responsabilità degli incidenti delle scorse settimane, inclusa la morte dei manifestanti. Lui nega di aver dato ordine di uccidere i manifestanti e accusa un “attore esterno”, senza fare nomi. Al Sadr, che ha sostenuto la sua nomina a premier, ha chiesto su Twitter la “caduta del governo di Abdul Mahdi”. Il primo ministro è ora in corsa contro il tempo. Ha diffuso una terza lista di riforme, ma è troppo tardi, nessuno si fida più delle sue promesse.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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