13 novembre 2020 13:01

Non è chiaro se Joe Biden, il presidente eletto degli Stati Uniti, cambierà la politica del suo paese in Medio Oriente, e in particolare sull’Iraq. Tra gli iracheni, i dibattiti a questo proposito erano già cominciati molto prima delle elezioni del 3 novembre.

Nonostante i loro tanti problemi, compresi il mezzo milione di contagi di covid-19 da marzo e la grave crisi finanziaria, gli iracheni hanno seguito con attenzione il voto statunitense. Su un centinaio di messaggi su Facebook, almeno 16 riguardavano le elezioni americane. Alcuni utenti non sembravano interessati a chi avrebbe vinto e sui social network circolava una vignetta in cui i due candidati erano ritratti come gemelli siamesi. L’idea più diffusa tra gli iracheni è che la politica statunitense si basi su due caposaldi – la difesa di Israele e il controllo del petrolio – e che in questo democratici e repubblicani siano allo stesso modo responsabili dei disastri che hanno colpito l’Iraq, compresa l’infiltrazione iraniana.

Lasciati al nemico
Tuttavia ci sono delle nette differenze di vedute. I curdi, che sono almeno il 12 per cento della popolazione totale, sono indignati con Donald Trump perché, come osserva Saru Qadir, il direttore di un centro studi governativo, il presidente uscente degli Stati Uniti ha consegnato gran parte del Kurdistan alla Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, un acerrimo nemico. Per questo sono contenti che abbia vinto Biden.

Anche i sunniti che vivono a nord e a ovest di Baghdad preferiscono Biden, perché il neoeletto presidente nel 2006 fu uno degli ispiratori di un piano per dividere l’Iraq in tre regioni, una sciita, una sunnita e una curda. Se questa divisione fosse mai messa in atto, i sunniti, che sono la minoranza (35 per cento) dei musulmani iracheni, avrebbero diritto a una loro quota delle ricchezze petrolifere e si sottrarrebbero al controllo delle milizie sciite.

“Fammi questa grazia, Abbas”

La maggioranza sciita, invece, era divisa tra i due candidati. I partiti filoiraniani e le loro milizie auspicavano la vittoria del candidato con l’approccio più morbido nei confronti dell’Iran e più disposto a mitigare le sanzioni.

Gli iracheni che manifestano contro la corruzione e l’influenza iraniana nel loro paese considerano sia Washington sia Teheran due potenze occupanti. Scherzosamente i manifestanti facevano circolare sui social una caricatura di Trump vestito in abiti tradizionali iracheni e con il rosario islamico in mano, mentre fa visita a un santuario sciita per rivolgere le sue preghiere ad Abbas, nipote di Ali Ibn Abi Talib (considerato il primo imam dello sciismo), implorandolo di concedergli un nuovo mandato.

A Teheran l’atteggiamento delle autorità nei confronti degli Stati Uniti non sembra essere cambiato. Dopo la vittoria di Biden, la guida suprema Ali Khamenei ha dichiarato che la politica iraniana verso gli Stati Uniti “non cambierà”. In ogni caso, per i dirigenti iraniani Trump rappresentava il demonio.

A differenza di Trump, Biden ha una lunga storia di coinvolgimento attivo nella politica irachena e conosce tutti i più importanti leader del paese, che ha incontrato a più riprese. Il presidente Barham Salih e il primo ministro Mustafa al Kadhimi si sono subito congratulati con lui per la vittoria. Ma il politologo Sayar Jamil è pessimista e ha già messo in guarda dai molti pericoli che potrebbero derivare da un’amministrazione Biden.

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