31 gennaio 2022 12:21

“Visita”: è questo il termine con il quale la guardia di frontiera definisce l’accesso legale nella zona. Ma molti giornalisti preferiscono il gergo professionale e parlano di “safari”, tranne quelli delle redazioni legate al partito di governo. Sul confine orientale un muro freddo e invisibile separa i mezzi d’informazione indipendenti da quelli governativi.

Lo stato di emergenza che ha vietato il libero accesso alla zona di confine con la Bielorussia è stato introdotto con un decreto governativo il 3 settembre 2021. Con la minaccia di una multa, il provvedimento impedisce ai giornalisti di operare liberamente in quell’area privando così l’opinione pubblica del suo diritto a un’informazione indipendente. Dal 3 dicembre 2021 la guardia di frontiera ha cominciato a organizzare “visite” giornalistiche nella zona e alcune redazioni, non per forza governative, hanno cominciato a strombazzare la fine dell’embargo informativo e il ritorno alla libertà di parola sul confine orientale.

Ma la caratteristica del “safari” è che il giornalista vede solo quello che gli permette di vedere chi lo accompagna.

Appuntamento con i militari
Per prima cosa è necessario richiedere via email l’accredito per la visita. Si forniscono i dati personali e si viene autenticati come giornalisti. Occorre dare il consenso alla verifica dei dati personali durante la visita da parte della guardia di frontiera. Bisogna inoltre “dichiarare di essere consapevoli dei pericoli legati alla partecipazione alla visita”, seguire un “breve addestramento organizzato immediatamente prima dell’inizio della visita” nonché “essere in possesso e indossare il giubbotto con la scritta Press”. La guardia di frontiera determina la data e il percorso che sarà seguito nella zona di confine. Il trasporto dei giornalisti è assicurato dall’esercito polacco e da altri organi pubblici. La visita può essere abbreviata o interrotta in qualsiasi momento. È necessario attenersi scrupolosamente alle istruzioni date dalla guardia di frontiera riguardo al “divieto di filmare oggetti e persone”.

Tutti i giornalisti a cui è stato concesso l’ingresso nella zona di confine il 12 gennaio 2022 (Polsat News, TVN24, Polityka) hanno saputo della partenza solo il pomeriggio del giorno prima con una telefonata della maggiore Katarzyna Zdanowicz, portavoce della guardia di frontiera della Podlachia. L’appuntamento era in mattinata, a un’ora prestabilita, sulla strada verso il valico di frontiera di Bobrowniki, presso il distributore di benzina di Waliły, dove i giornalisti sono stati prelevati dagli agenti in divisa. La portavoce è stata molto gentile, ha consigliato di indossare abiti pesanti per il freddo pungente.

Poco prima delle dieci, nella sonnolenta stazione di servizio sono arrivati a gran velocità due humvee e un fuoristrada Tarpan Honker che, coperto di fango, giungeva direttamente dalla zona di confine. Sono scesi soldati in tenuta mimetica, giubbotti antiproiettile e armi a tracolla. Pochi minuti dopo è arrivato un suv della guardia di frontiera, con Zdanowicz e la capitana Murawska, vicecomandante del punto di frontiera di Bobrowniki. Le donne sono incaricate di accompagnare i giornalisti nella zona. È a loro, e in particolare a Katarzyna Zdanowicz, che vanno indirizzate eventuali domande durante la visita.

L’atmosfera nel parcheggio del distributore era distesa, Zdanowicz ha raccontato i fatti recenti al confine con la Bielorussia: la notte prima c’erano stati tentativi di attraversamenti illegali, alcuni nelle vicinanze del villaggio di Mielnik, mentre le notti precedenti nelle località di Czeremcha e Lipsk. Le condizioni meteorologiche (di notte la temperatura scende anche a 20 gradi sotto zero) non sembrano spaventare gli immigrati. In un certo senso, per loro è più facile passare adesso che non in autunno, perché i fiumi e le paludi vicino ai confini gelano. Anche l’origine degli immigrati è cambiata, sono diminuiti i siriani, gli afgani e gli iracheni, mentre sono aumentati i profughi proveniente da India, Egitto, Yemen e Ghana.

Gli agenti in divisa hanno controllato le carte d’identità dei giornalisti e rilasciato un “permesso d’ingresso nell’area temporaneamente vietata”. L’autorizzazione dura solo tre ore ed è firmata dal comandante della guardia di frontiera di Bobrowniki. Una troupe televisiva, avendo capito male le istruzioni, è arrivata con un’ora di ritardo. Nel frattempo la portavoce ha proposto di raggiungere comunque il confine.

A grande velocità
I militari si spostavano a grande velocità, giustificata – almeno dalla prospettiva di un osservatore esterno – da ragioni operative. Uno dei due humvee apriva il convoglio e l’altro lo chiudeva, noi giornalisti abbiamo viaggiato sul fuoristrada Tarpan Honker. Oltre a noi c’era un movimento costante di camion militari, veicoli blindati e auto della polizia. Era tutto un lampeggiare di sirene e rombare di motori.

I tanti camionisti della chilometrica colonna di tir diretta al punto di confine a Bobrowniki ormai sono indifferenti a questo viavai. Il passaggio a Kuźnica è chiuso fino a nuovo ordine dopo gli attraversamenti illegali di novembre e così i tir rimangono bloccati qui. Come poi ci hanno raccontato i camionisti, gli agenti della guardia di frontiera e dell’esercito amano azionare le sirene nel cuore della notte disturbando il sonno di chi attende giorni e giorni di rimettersi per strada. Inoltre, il rapido e costante movimento dei mezzi durante il giorno complica la consegna dei pranzi agli autisti, importante fonte di guadagno per i residenti locali.

Szudziałowo, nel nordest della Polonia, 25 gennaio 2022. Soldati durante un tour organizzato per la stampa. (Wojtek Radwanski, Afp)

I due soldati che guidavano il fuoristrada indossavano caschi e foulard. Si vedevano solo i loro occhi. Poco disposti a rispondere alle domande sulle loro origini, hanno bofonchiato infastiditi di non essere di lì. Hanno detto di non sapere dove li spediranno. Non una parola di più. Ascoltavano gli AC/DC a tutto volume e poi improvvisamente passavano alla tecno. Le due ufficiali della guardia di frontiera invece non viaggiavano con noi. Non abbiamo dovuto indossare i giubbotti con la scritta Press o le mascherine anticovid. Il breve corso di formazione si è limitato a poche frasi sulle caratteristiche del territorio e sulla necessità di rispettare le indicazioni dei militari e degli addetti al controllo delle frontiere.

Alcune decine di metri prima del valico di frontiera, il convoglio ha svoltato su una strada sterrata, senza rallentare. Poco prima della base della guardia di frontiera ci sono due grandi cartelli con su scritto: “Onore ai militari” e “Grazie per la difesa dei confini polacchi”. Zdanowicz ci racconterà poi che la guardia di frontiera riceve numerosi attestati di simpatia e sostegno. I cartelloni sono identici a quelli che campeggino all’esterno della Banca nazionale di Polonia a Varsavia, pagati con i soldi dei contribuenti.

Durante la visita alla zona abbiamo percorso rapidamente la strada che segue il confine attraversando alcune piccole località. Nonostante i camini fumanti e i cani nei cortili i villaggi sembravano abbandonati. Gli abitanti non si erano volatilizzati, ma – come ci hanno detto sorridendo i funzionari che ormai conoscono la zona – stavano chiusi in casa per il freddo. Le abitazioni estive sono ovviamente inutilizzate in questa stagione.

Non lontano, oltre le ultime case e lungo il fiume Świsłacz, che segna il confine tra Polonia e Bielorussia, scintillavano al sole spire interminabili di concertina. La barriera si estende per circa 180 km – “l’intero tratto è stato messo in sicurezza”, come ha spiegato Katarzyna Zdanowicz – e chi è impegnato nella protezione delle frontiere ne tesse le lodi, sostenendo che i 180 chilometri di filo spinato hanno permesso di tenere temporaneamente sotto controllo il passaggio illegale dei profughi. I militari sperano che il problema sarà definitivamente risolto dal muro alto cinque metri che il governo polacco ha cominciato a costruire il 24 gennaio. Intanto, a causa della situazione di crisi alle frontiere orientali, è in corso un’ulteriore campagna di arruolamento nella guardia di frontiera polacca.

“Si tratterà di un muro simile a quello che divide Israele ed Egitto?”, ha domandato un giornalista. “Non direi”, ha risposto Zdanowicz. “Al momento non so dire con certezza quale sarà il suo aspetto finale, ma è certo che dovrebbe essere diverso da quello costruito da Israele. Non sarà del tutto cieco, ci saranno dei passaggi”. Alla domanda su quale espressione usino tra di loro gli ufficiali per definire quello che succede nella zona (guerra, situazione, conflitto), la portavoce ha risposto “crisi migratoria”.

Foto di spalle
La prima tappa della visita ci ha portato nei pressi del villaggio di Narejki. Sul confine abbiamo visto una reliquia dell’epoca comunista: la porta di frontiera che sormonta i binari della ferrovia, con la scritta in cirillico mir (pace). Accanto, direttamente sui binari, si vedeva un bunker tipo Hesco della Nato, con la stretta finestrella di osservazione rivolta verso la Bielorussia. La porta con la scritta mir ci attirava, ma non ci siamo potuti avvicinarci. Così come abbiamo potuto osservare solo da lontano le minuscole figure dei soldati di pattuglia sulle rive del fiume Świsłocz lungo la concertina. Uno dei militari intabarrati alla guida del convoglio ha rifiutato di essere filmato. Ha indicato un collega in lontananza: “Ecco, può filmare lui se vuole”. Ma alla fine ha accettato di posare per una foto di spalle.

Alla fine ci ha raggiunto anche la troupe in ritardo dei giornalisti di Tvp, che si sono messi subito al lavoro, chiedendo alla portavoce di sistemarsi in modo da avere la frontiera sullo sfondo e di dire qualcosa sulla difficile situazione della zona. Sembravano accontentarsi del generico e ufficiale linguaggio diplomatico usato per descrivere la sfida quotidiana per la difesa delle frontiere. Faceva un freddo terribile e i giornalisti di Tvp si riscaldavano a turno nell’auto con il motore acceso.

Filo spinato lungo il confine tra Polonia e Bielorussia, 25 gennaio 2022. (Wojtek Radwanski, Afp)

Il personale in divisa autorizzato a parlare con i mezzi d’informazione ha sollecitato domande anche agli altri giornalisti, che però avrebbero voluto vedere qualcosa di più, e possibilmente parlare con gli abitanti della zona. “Non potremmo fermarci in qualche spaccio di alimentari lungo la strada?”, ha domandato un collega. “In questi villaggi non ci sono negozi”, ha risposto uno degli agenti della guardia di frontiera che opera nella zona da anni.

Il seguito è stata una corsa a rotta di collo lungo la strada desolata presso il confine, superando altre auto militari e volanti della polizia. Alla richiesta di fermarsi quando hanno avvistato un passante lungo la strada, i militari hanno borbottato qualcosa tirando dritto dietro l’humvee; non avevano ricevuto ordine di fermarsi. L’humvee che chiudeva il convoglio ha ridotto la distanza dal fuoristrada, per motivi di sicurezza. Il passante è scomparso rapidamente, quasi fosse un miraggio. I funzionari che si occupavano di noi sette giornalisti (di cui due di Tvp) erano sedici in tutto.

Il capovillaggio
Durante la visita nel villaggio di Mostowlany gli ufficiali ci hanno detto che il confine con la crisi migratoria sembra lo stesso ovunque, e ci hanno proposto una terza destinazione. Alcuni hanno risposto di sì. Nel frattempo due giornalisti si erano inoltrati tra le case per cercare qualcuno da intervistare che non fosse un funzionario in divisa. Si sono subito accorti di essere seguiti a breve distanza da due militari armati; lo richiedeva il protocollo di sicurezza. I soldati non erano invadenti e non interferivano con il lavoro della stampa, semplicemente c’erano.

Sulla strada che attraversa il villaggio non c’era anima viva. Non si è aperta nemmeno una porta. Il capovillaggio ci ha gridato di non potersi avvicinare perché sua madre non era vaccinata e non voleva rischiare un contagio. Poi, comunque interessato alla nostra presenza, ci ha domandato di che testata eravamo. Polityka e Tvn. A quel punto ha gridato all’improvviso: “Perché non andate a intervistare i vostri Michnik e Tusk! Siete pregati di uscire dalla mia proprietà!”.

Anche il villaggio Chomontowce sembrava vuoto. I camini fumavano ma le porte restavano chiuse. Sui gradini d’ingresso di un’abitazione un uomo fumava una sigaretta. Ha detto di chiamarsi Adam, di fare il camionista e di essere in ferie. Non era molto loquace, ma ci ha spiegato ugualmente che la vita lì è sempre uguale e, a parte quel viavai di mezzi militari, non aveva visto nemmeno un profugo nel villaggio. “Anche se mi sembra la quiete prima della tempesta. Il cambiamento più grande è che una volta erano i bielorussi a controllare che nessuno uscisse, mentre adesso sono i nostri a farlo”.

Decisioni governative
Katarzyna Zdanowicz è in servizio presso la guardia di frontiera da 22 anni, e afferma che i funzionari della regione Podlachia sono stati messi in una situazione molto strana dalla “crisi migratoria”. I colleghi bielorussi, che ancora fino a pochi mesi fa collaboravano con gli ufficiali polacchi, hanno improvvisamente cambiato atteggiamento. Le loro azioni di disturbo nei confronti dei vicini sono ampiamente documentate: facilitano ai profughi l’attraversamento del confine e indirizzano le luci rosse dei puntatori laser sugli occhi delle pattuglie polacche. E i profughi? Katarzyna Zdanowicz non ha dubbi che si tratti di persone disperate e sfruttate per scopi politici. Tra le funzionarie della guardia di frontiera, ha aggiunto, ci sono anche delle madri e ci si sente spezzare il cuore quando vedono gruppi di donne con bambini, anche molto piccoli.

Zdanowicz afferma che tutti i profughi sono trattati con umanità. “Ricevono cibo, vestiti e cure sanitarie”. Secondo lei la pratica del push back di cui parlano alcuni mezzi d’informazione, ovvero il respingimento forzato dei migranti verso il confine bielorusso, non sarebbe realtà. Ma se non c’è niente da nascondere, ha chiesto un giornalista, allora perché i mezzi d’informazione possono accedere alla zona solo nell’ambito delle “visite” organizzate? La funzionaria non si è espressa: si tratta di decisioni governative.

La giornalista di Tvp con la frontiera alle spalle in lontananza parlava rivolta alla telecamera. Con voce decisa raccontava di come gli immigrati abbiano preso d’assalto il confine polacco, ma siano riusciti ad avanzare solo di una decina di metri. A fermarli e ad arrestarli è stata la guardia di frontiera polacca.

Rientro
“È possibile parlare con i soldati che pattugliano le frontiere?”, ha chiesto uno dei giornalisti. La risposta sul momento è stata negativa, poi è diventata un sì, a condizione di ascoltare un portavoce dei militari, un giovane soldato che per una fortunata circostanza era residente in una vicina località. Rimanendo dietro la troupe televisiva di Tvn, Katarzyna Zdanowicz guida le sue risposte con lo sguardo, aiutandolo con la mimica facciale a barcamenarsi tra quello che può e non può dire.

A un certo punto ci hanno “pregato di tornare ai mezzi”. Così siamo stati ricondotti al punto di partenza, la stazione di servizio di Waliły. Il giorno dopo erano attesi nella zona giornalisti tedeschi, italiani e britannici.

Lo Straniero è entrato per la prima volta nella zona proibita nel settembre 2021 a bordo di un autobus proveniente da Chełm. È stato fermato a Włodawa contemporaneamente dai funzionari della gendarmeria militare, della guardia di frontiera e della polizia. Poi è stato interrogato sullo scopo dell’ingresso, e gli è stato chiesto se non fosse un giornalista. Ricevuta un’ammonizione verbale è stato espulso dalla zona con un autobus diretto a Lublino. Tuttavia, il giorno successivo era di nuovo nella zona, questa volta su un’auto privata, diretto per un’indulgenza in una chiesa a Kodeń (un decreto governativo consente l’ingresso nella zona per comprovati motivi di ordine religioso). Sulla strada da Włodawa a Janów è stato identificato e registrato diverse volte, ma è bastato spiegare i motivi di ordine confessionale perché i funzionari lasciassero proseguire il pellegrino.

Recentemente, lo Straniero è entrato nella zona verso la metà di gennaio. Viaggiava su un’auto con una targa della regione della Mazovia; prima ha percorso la statale da Biała Podlaska a Terespol, poi si è spostato su strade locali nella parte nord della zona diretto ancora una volta a Janów. Questa volta le pattuglie erano molte meno rispetto a settembre e si trattava solo delle forze di polizia. Tutti i poliziotti sono stati molto gentili, auguravano buona giornata e lasciavano proseguire senza problemi. Nella zona tutti i negozi erano ben riforniti, gli autobus locali liberi di entrare e uscire. Quando lo Straniero parlava con i residenti, questi dichiaravano il ​​più delle volte che, a prescindere dall’anomala presenza dei militari, non percepivano affatto l’esistenza dei controlli.

Parlando con loro è poi venuto fuori che in molti luoghi della zona i militari sono ospitati da istituzioni legate alla chiesa cattolica. A Terespol, per esempio, dal consultorio familiare cattolico. A Pratulin, invece, risiedono in un albergo che ospita abitualmente i pellegrini diretti al santuario dei Martiri. E là dove non ci sono strutture legate alla chiesa, i soldati trovano alloggio negli agriturismi locali.

I poliziotti delle pattuglie lungo la strada si scaldano vicino a dei bracieri di metallo. Lampeggiano per segnalare se intendono fermare qualcuno per un controllo. Alla richiesta di identificazione basta rispondere di essere un autista. L’importante è non identificarsi come giornalista, perché si può incappare in sgradevoli problemi legali. Ufficialmente si sa ben poco dei profughi, ma il governo polacco se la cava molto bene nella difesa delle frontiere dai giornalisti indipendenti.

(Traduzione di Dario Prola)

Questo articolo è uscito sul settimanale polacco Polityka.

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