17 marzo 2016 17:46

Giovani in vespa, coppie che ballano, uomini che si atteggiano nei loro cappelli e occhiali da sole. “Il mio studio era diverso dagli altri. Era… rilassato. Facevo anche ritratti di famiglia più formali, ma spesso era come una festa. Le persone passavano, restavano e mangiavano. Io dormivo nella stanza in cui sviluppavo i rullini”, racconta il fotografo Malick Sidibé al Guardian.

Era il 1960 e il Mali otteneva l’indipendenza dalla Francia attraversando una fase di grandi cambiamenti sociali e culturali. In quegli anni, a Bamako, Sidibé aprì uno studio fotografico dove ritraeva gli abitanti della città, soprattutto i giovani. E poi seguiva gli eventi della vita notturna, i matrimoni e le feste improvvisate. E il giorno dopo esponeva nel suo studio i negativi delle foto che aveva scattato, così chi voleva, poteva ordinare le stampe.”Quando ho aperto il mio studio sono stato fortunato perché avevo l’elettricità ed essere fotografati con la luce era considerato di lusso”, racconta Sidibé in un’intervista.

Nell’introduzione del libro Malick Sidibé – La vie en rose (Silvana Editoriale 2010) Sidibé spiega che troppo spesso l’immagine dell’Africa è legata al dolore e alla povertà. Ma l’Africa secondo lui non è solo questo e ha usato le sue immagini per dimostrarlo.

La galleria Jack Shainman di New York celebra il fotografo maliano dedicandogli una retrospettiva che offre una visione completa di tutta la sua carriera, dagli anni cinquanta a oggi. Alcune delle immagini esposte sono inedite e quelle realizzate più recentemente continuano a parlare del suo paese e dei cambiamenti che sta vivendo. Come per esempio nelle immagini di vita quotidiana e di lavoro.

Sidibé è considerato il più importante fotografo africano. Nel 2007 ha ricevuto un Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia e nel 2010 è stato premiato al World press photo.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it