08 aprile 2016 13:32

L’8 aprile è il Romanò dives, la giornata internazionale dei rom, che ricorda il primo congresso mondiale romanì che si tenne vicino a Londra nel 1971. Fu allora che si decise l’uso del termine rom (uomo) come denominazione ufficiale della popolazione, l’istituzione di un inno, Đelem Đelem, in memoria del genocidio (il porrajmos) nei lager nazisti, e la bandiera: metà azzurro cielo, metà verde come l’erba e una ruota simbolo del nomadismo.

Da allora sono stati avviati vari progetti per migliorare la condizione dei circa 12 milioni di cittadini rom e sinti che vivono nel continente europeo, per la maggior parte nei paesi di recente ingresso come Romania e Bulgaria. Dal 2010, l’Unione europea chiede a ogni stato di elaborare strategie nazionali incentrate principalmente su quattro obiettivi: accesso all’istruzione, accesso all’occupazione, accesso all’assistenza sanitaria, accesso all’alloggio e ai servizi essenziali.

Anche l’Italia si è dotata di una strategia nazionale, ma a distanza di quattro anni dalla ratifica, la sua realizzazione è ancora allo stadio iniziale, scrive la Comunità di sant’Egidio chiedendo un’accelerazione soprattutto nei seguenti ambiti: “Scolarizzazione di qualità, superamento della logica emergenziale e superamento della segregazione abitativa istituzionalizzata grazie a nuove politiche di inserimento abitativo che potrebbero rivelarsi più economiche e sicuramente più inclusive”.

Fino al 1856 in Romania i rom erano considerati degli schiavi, ma ancora oggi il divario con la popolazione non rom è enorme: l’analfabetismo è comune, particolarmente tra le bambine, e tre quarti delle famiglie vivono in abitazioni senza servizi igienici o acqua corrente.

Nel marzo del 2015 il fotografo Magnus Wennman è stato nella regione di Păuleasca, che comprende numerosi villaggi rom come Troislav, Tinca e Tufanu.

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