Al cinema possiamo ancora vedere Perfect days di Wim Wenders. Nel film si racconta di un uomo che con grazia monacale affronta ogni giorno la pulizia dei bagni pubblici di Tokyo. Non parlerò del film, ma di un tema che quest’opera mette in evidenza e che è ancora un grande tabù del mondo occidentale: la cura. Sono figlia di genitori femministi, e sono consapevole del grande movimento di emancipazione che mi ha preceduto, che mi ha donato la libertà di votare, studiare, parlare, esprimermi. Prima di quest’epoca, tranne rari astri luminosi, per millenni le donne sono state tenute nascoste ed educate alla cura, a stare un passo indietro, a mettersi da parte, ad accudire. Solo in tempi relativamente recenti si sono liberate e hanno assunto un ruolo diverso nella società, offrendo anche ai maschi la grande possibilità di vedere con gli occhi femminili. Per millenni le donne sono state serve. Ma c’è di peggio: sono state serve in un mondo che ha sempre disprezzato la servitù, che considera il prendersi cura dell’altro come il gradino più basso della scala sociale, quasi un imbarazzo. Bene, a prescindere dall’essere maschi o femmine, non sarebbe ora di ripensare questa scala sociale? Dovremmo celebrare l’orgoglio casalingo, i badanti di successo, i pulitori di gabinetti pubblici come idoli da seguire. Nella cura non c’è vergogna, anzi, c’è una virtù speciale, una radice.

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Questo articolo è uscito sul numero 1549 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati