Dentro La città e la città di China Miéville, romanzo manifesto della sensibilità fantascientifica contemporanea, si legge: “Da quel momento storicamente limitato alquanto opaco, discese il caos della nostra storia materiale, un’anarchia della cronologia, di resti spaiati che deliziavano e orripilavano gli investigatori”. Costruito su un’impostazione anarchica rispetto alle restrizioni di genere, il romanzo di Miéville trova una colonna sonora materiale grazie a due musicisti appassionati altrettanto indifferenti alle categorizzazioni. Si può dire che quello dei SabaSaba in Unknown city (Maple Death Records) sia un lavoro atmosferico ed evocativo, incistato nel pensiero politico quanto in quello geografico, e di fatto lo è. Ma opera sempre su più livelli, come la città del romanzo a cui s’ispira, che si toccano in punti e non in altri, pur occupando la stessa area.

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Scivolare sulle cose, sorvolare sulle cose o collassarci dentro, insieme a migliaia di tuoi simili. In un tempo in cui l’opzione stessa della città diventa più rarefatta e diseguale, in cui la città respinge vite che non hanno più né i soldi né la salute per affrontarla, il mantra dei SabaSaba in Unknown city ci delizia e terrorizza proprio come se fossimo detective allucinati intenti a esaminare da vicino le opzioni rimaste. Suoni fisici e cavernosi, echi di persone che ci siamo lasciati alle spalle (nel brano Wrists free insieme a Jerome), ispirazioni che si rincorrono in loop. Quello che Giles Corey faceva al folk statunitense, i SabaSaba provano a farlo a un intero lessico musicale dell’oscurità. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1555 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati