La storia maestra di vita? Mah. Forse il povero Cicerone, con questa definizione, aveva preso un abbaglio. La prima guerra mondiale lasciò sul terreno diciassette milioni di morti, una ventina di milioni di feriti e mutilati, e parecchie delle ragioni che avviarono la seconda guerra mondiale coi suoi sessantacinque milioni di ammazzati. Milioni, eh, milioni di vite distrutte, milioni di esistenze con tutti i tratti e gli affetti che riconosciamo in noi qui, adesso. Ma questi numeri hanno qualche peso o significato per chi oggi ventila la terza guerra mondiale un giorno sì e un giorno no, per chi a chiacchiere inorridisce all’idea dello sterminio che ne deriverebbe, e tuttavia lo prepara, l’avvia, mossa e contromossa, su svariate scacchiere del pianeta? No. A volersi ammaestrare, ci sarebbe un cospicuo numero di saggi, romanzi e film di atroce realismo sui massacri bellici e sul loro insensato spreco di vite. Ma anche su quelli, come sui numeri dei massacrati, tendiamo a sorvolare. Ce la spassiamo di più con la retorica del pugnare, con l’elenco delle armi e la loro pregiata fabbricazione, con la vestizione guerresca del prode che o vince o muore. Mai che ci appassioniamo al rifiuto della rissa e dei fiumi di sangue, ai trattati che dicono: signori, se si continua a distruggere, altro che ammaestramenti, altro che storia. Quelle pagine lì le saltiamo, sono noiose.

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Questo articolo è uscito sul numero 1498 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati