Purtroppo sulla questione della guerra in Ucraina molte persone a sinistra cercano di tenere il piede in due staffe, condannando l’aggressione russa e allo stesso tempo attribuendo la colpa agli Stati Uniti. Per esempio i Socialisti democratici d’America (Dsa) hanno reagito alla guerra “chiedendo lo scioglimento della Nato” e incolpando “l’espansionismo imperialista” degli Stati Uniti per l’attacco di Mosca all’Ucraina.

L’organizzazione – a cui aderiscono politici di rilievo come la deputata di New York Alexandria Ocasio-Cortez e il senatore Bernie Sanders – il 26 febbraio ha diffuso un comunicato in cui condanna l’invasione russa e chiede a Vladimir Putin di “richiamare immediatamente le sue truppe”, ma non è pronta ad ammettere che, nonostante la complessità della situazione e le responsabilità da entrambe le parti, gli ucraini stanno opponendo una resistenza pienamente giustificata ed eroica all’attacco russo, che dovrebbe essere sostenuta incondizionatamente.

Molti paesi non condannano la Russia per i crimini di guerra, perché ricordano quelli ben peggiori commessi dall’occidente

Invece si sentono voci “socialiste” che invitano i lavoratori ucraini a organizzarsi contro gli occupanti russi in modo indipendente dal governo corrotto di Kiev. Dietro tutto questo c’è una teoria del complotto di sinistra: “Gli Stati Uniti volevano la guerra in Ucraina. Senza questa guerra, Washington non potrebbe tentare di distruggere l’economia russa, orchestrare la condanna del resto del mondo e provocare un’insurrezione per dissanguare Mosca, il tutto nel tentativo di rovesciare il suo governo”.

In modo quasi simmetrico, anche la destra liberal dubita che la sinistra possa sostenere davvero la resistenza ucraina: decisamente Putin non è un uomo di sinistra, ma è comunque percepito come un alleato di alcuni regimi di sinistra.

Non c’è da stupirsi se, come nella formula sulla comunicazione di Lacan in cui si riceve dall’altro il proprio messaggio in forma invertita, l’occidente stia ricevendo il suo stesso messaggio dal sud del mondo: paesi come il Brasile e il Sudafrica non sono disposti a condannare la Russia per i crimini di guerra in Ucraina, ricordando crimini ben peggiori commessi dall’occidente. Ecco perché la loro reazione alla “difesa dell’Europa” è: per quale ragione dovremmo schierarci dalla parte di una potenza che in passato ci ha fatto quello che i russi stanno facendo in Ucraina? E in un certo senso non hanno torto: anche l’Europa tiene il piede in due staffe.

Il 15 marzo quattro leader europei hanno intrapreso un lungo e rischioso viaggio in treno dalla Polonia a Kiev per appoggiare il governo ucraino, mentre la città era sotto attacco. I primi ministri di Polonia, Slovenia, Repubblica Ceca e Ungheria hanno incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj proprio mentre a Kiev cominciava il coprifuoco. In seguito, il premier polacco Mateusz Morawiecki ha scritto su Twitter che l’Ucraina sta ricordando al nostro continente che cos’è il coraggio: era ora che l’Europa “pigra e decadente” si svegliasse, “abbattesse il suo muro d’indifferenza e desse speranza all’Ucraina”, ha commentato.

Chi ricorda quell’incontro avrà notato che le cose non sono andate esattamente come le ho raccontate: il premier ungherese Viktor Orbán non c’era, il suo posto è stato occupato da Jarosław Kaczyński, il capo del partito al governo e leader di fatto della Polonia.

Questa sostituzione (Kaczyński al posto di Orbán) offre la chiave di tutta la vicenda. Non è stato solo un tenere il piede in due staffe, è stato molto peggio: una persona ne ha sostituita un’altra nella stessa scarpa.

Tutte le proposte avanzate da alcuni partecipanti alla missione diplomatica a Kiev celavano a malapena il vero obiettivo: attirare l’Ucraina verso l’Europa nazionalista Euronazionalista,rafforzarsi contro l’egemonia dell’Europa socialdemocratica. è più forte che mai

Sia Orbán sia Kaczyński incarnano la posizione di una parte del cosiddetto gruppo di Visegrád, composto da quattro paesi post-comunisti dell’Europa centrale che fanno parte dell’Unione europea ma al tempo stesso si oppongono ai valori dominanti nel continente, come il desiderio di maggiore cooperazione, e da valori culturali come il femminismo, il multiculturalismo, l’antirazzismo e la neutralità religiosa.

Fino a poco tempo fa la Polonia e l’Ungheria hanno subìto forti pressioni da parte di Bruxelles perché abbandonassero le loro politiche contro l’aborto e l’omosessualità e la loro deriva autoritaria (controllo statale del potere giudiziario, della cultura e dei mezzi di comunicazione). L’Unione europea minaccia perfino di ritirare il sostegno economico che questi stati ricevono se non rispetteranno le sue leggi.

Contro questa pressione, i cosiddetti “democratici illiberali” (come Orbán) insistono sull’identità nazionale e sulla tradizione cristiana. Sia la Polonia sia l’Ungheria usano ora il peso della guerra in Ucraina (come l’accoglienza dei rifugiati) per ammorbidire la posizione di Bruxelles sui diritti umani, e forse avranno perfino un sostegno finanziario maggiore dall’Europa.

A un livello più generale, non dobbiamo mai dimenticare che i conflitti in corso, comprese le guerre vere e proprie, non sono mai solo una questione di cultura e geopolitica: sono fasi dovute alle tensioni interne alla circolazione globale del capitale. Alcuni segnali indicano che anche le splendide manifestazioni di Euromaidan del 2014, un’autentica rivolta studentesca e popolare, sono state (almeno in parte) influenzate dalla lotta tra due gruppi di oligarchi ucraini e i loro padroni stranieri, la cricca filorussa e la cricca filoccidentale. Lo “scontro di civiltà” è una parte della verità, ma non tutta la verità.

Il nocciolo della questione però risiede altrove. In qualunque modo la si giri, l’Europa unita rappresenta una sorta di socialdemocrazia, motivo per cui Viktor Orbán in una recente intervista ha dichiarato che l’occidente liberale “sta gradualmente diventando marxista”: “Prima o poi, dovremo affrontare il fatto che, in opposizione al campo democratico cristiano, non abbiamo più a che fare con un gruppo liberale, ma con un gruppo essenzialmente marxista che ha solo qualche rimasuglio liberale. La stessa cosa sta succedendo negli Stati Uniti. Al momento il campo conservatore è in svantaggio rispetto al campo liberal e marxista”.

Allora perché Orbán non ha partecipato al viaggio in Ucraina? Sicuramente a causa dei legami economici (e non solo) dell’Ungheria con la Russia di Putin, che l’hanno costretto a proclamare la neutralità nella guerra ucraina in corso.

In un recente discorso pubblico il presidente Zelenskyj ha criticato direttamente l’Ungheria per questa neutralità: “Voi (ungheresi) dovete decidere con chi schierarvi”.

Così la Polonia e l’Ungheria hanno deciso di fare il doppio gioco. Due estremisti polacchi antirussi sono andati a Kiev, fingendo di essere lì come inviati speciali dell’Unione: non c’è da stupirsi che la loro “missione” abbia causato imbarazzo a Bruxelles, perché nessuna istituzione europea li aveva autorizzati a rappresentarla. Ma il vero scopo della loro missione non era quello di agire per conto dell’Europa, bensì di segnalare una chiara divisione interna: è stata una missione contro l’Europa unita. Il loro messaggio all’Ucraina è stato: noi siamo i vostri unici veri alleati, solo noi sosteniamo sinceramente e pienamente la vostra lotta contro l’invasione di Putin, non l’Europa liberale occidentale “pigra e decadente”.

Tutte le proposte fatte da alcuni partecipanti alla missione diplomatica a Kiev (come l’imposizione di una no-fly zone sull’Ucraina) nascondevano a malapena il loro vero obiettivo: corteggiare Kiev per attirarla nell’Europa nazionalista e illiberale, rafforzarsi contro l’egemonia dell’Europa socialdemocratica.

La domanda principale che viene spontaneo farsi a questo punto è: con chi si schiererà l’Ucraina quando finirà la guerra (e i progressi dei negoziati indicano qualche timido passo avanti verso la pace)?

In questo senso, anche se Orbán non era presente a Kiev, il suo messaggio è arrivato lo stesso. Ed è per questo che il premier sloveno Janez Janša, un sostenitore della linea dura contro la Russia, ha difeso il premier ungherese dalle critiche ucraine. I quattro leader populisti sapevano bene che le loro proposte radicali non avrebbero avuto conseguenze.

La loro battaglia non era contro la Russia di Putin, ma contro l’Europa socialdemocratica (e secondo Orbán “marxista”).◆ bt

Slavoj Žižek
è un filosofo e studioso di psicoanalisi sloveno. Il suo ultimo libro è Guida perversa alla politica globale , che sarà pubblicato da Ponte alle grazie il 14 aprile.

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Questo articolo è uscito sul numero 1454 di Internazionale, a pagina 47. Compra questo numero | Abbonati