17 maggio 2016 11:03

Nel settembre del 2014, mentre in Liberia l’epidemia di ebola raggiungeva l’apice della sua diffusione, Tina Williams, di 14 anni, aveva la febbre ed era incinta. Era stata violentata e il suo ragazzo l’aveva abbandonata. A letto, tremante, pregava che la sua malattia fosse la malaria, non l’ebola.

I test fatti dopo il parto sono stati negativi, sia per lei sia per la bambina che aveva appena messo al mondo. Ma era comunque una sopravvissuta all’ebola, anche se in un senso particolare. In Africa occidentale, insieme alla diffusione del virus che ha contagiato trentamila persone, si è sviluppata un’altra epidemia: ondate di stupri, di aggressioni sessuali e di violenze nei confronti di donne e ragazze.

Gli operatori della sanità pubblica hanno tenuto scrupolosamente il conto dei malati di ebola, ma le adolescenti come Williams, vittime di violenze sessuali, sono state ignorate. Solo nel 2016 è stato possibile sapere che, durante l’epidemia di ebola, in Guinea, in Liberia e in Sierra Leone le gravidanze in età adolescenziale sono decuplicate a causa di un aumento degli stupri provocato dalla diffusione del virus.

Secondo uno studio pubblicato dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), in alcune regioni della Sierra Leone durante l’epidemia di ebola le gravidanze in età adolescenziale sono aumentate del 65 per cento. Eppure è molto difficile ottenere i dati, soprattutto perché le vittime denunciano le aggressioni molto raramente. Un altro studio, condotto congiuntamente dall’Unicef e dalle ong Plan international, Save the children e World vision, ipotizza che il numero di gravidanze tra le adolescenti sia quasi raddoppiato nelle regioni colpite dall’ebola.

I pericoli della quarantena

Questa recrudescenza non è affatto casuale. Spesso le epidemie infettive aggravano la vulnerabilità delle ragazze rispetto alle violenze, che siano sessuali o meno, a causa dei disordini e dell’instabilità sociale che portano con sé. “È un dato che non sorprenderebbe, se si guardasse alle epidemie come a qualunque altra catastrofe”, spiega Monica Onyango, ricercatrice in materia di sanità mondiale all’università di Boston. “Le epidemie sono identiche alle situazioni di conflitto. Ci sono vuoti di governo, caos e instabilità: altrettanti fattori che rendono le donne più fragili rispetto alla violenza”.

Eppure, la correlazione tra epidemie e violenza sulle donne non è ben documentata. “Sappiamo che in tempo di guerra le ragazze e le donne sono spesso vittime di violenze sessuali. Il fenomeno è stato documentato durante la guerra civile in Sierra Leone, in Liberia, dopo il genocidio in Ruanda, durante la guerra nella ex Jugoslavia”, precisa Onyango. “Dobbiamo documentare meglio gli stupri e le aggressioni sessuali che avvengono durante o dopo un’epidemia, perché esistono. Le donne sono estremamente vulnerabili”.

L’epidemia di ebola in Africa occidentale è un caso di studio. Le disposizioni sanitarie destinate a contenere la diffusione della malattia, come la quarantena, il coprifuoco e la chiusura delle scuole, hanno anche aumentato il rischio, per le donne e le ragazze, di subire violenze e stupri. È quanto afferma Marie Harding, che lavora al centro medico Star of the sea di West Point, una delle più grandi bidonville della Liberia nonché scenario di una disastrosa quarantena di ventuno giorni durante l’epidemia.

Fuori delle scuole e lontano dalla loro relativa sicurezza, i rischi di violenza sessuale sono ancora più elevati

Al culmine dell’epidemia, le partite di calcio erano state annullate e i bar erano stati chiusi. Gli uomini, che di solito vivono la loro vita sociale fuori casa, dovevano rimanere in casa, con donne e bambini. Di qui le ondate di stupri e violenze nelle case messe in quarantena. Secondo uno studio condotto in Sierra Leone dalla ong Save the children su 617 ragazze che hanno denunciato aggressioni violente e stupri, la maggior parte è avvenuta durante la quarantena.

A West Point, Marie Harding è stata testimone di una tendenza simile. “C’era moltissimo stress, molta tensione. La gente non sapeva cosa fare, dove trovare da mangiare”, ricorda. “Quando una ragazza non è a scuola, quando rimane a casa per tutto il giorno, è in pericolo”.

Un pericolo accentuato non solo dalle misure di quarantena. In uno studio condotto in Liberia dall’ong Plan international, alcune madri dichiarano di aver avuto paura per le figlie che non potevano andare a scuola e che dovevano provvedere ai bisogni della famiglia. A causa della fame, alcune di loro hanno fatto sesso in cambio di cibo. Un fenomeno particolarmente rilevante tra le orfane dell’ebola, costrette a sopravvivere da sole. Nello studio di Save the children, il 10 per cento dei bambini intervistati – molti dei quali hanno perso almeno un genitore a causa del virus – dicono che le ragazze rimaste senza famiglia a causa dell’ebola sono state obbligate a prostituirsi per avere cibo e un riparo.

Lo conferma Marie Harding, zigzagando tra le panche della sala d’attesa del centro medico. È quel che ha visto a West Point. “Sono bambine, ma devono pensare da sole alla loro sopravvivenza”, dice indicando delle ragazze che aspettano il loro turno. “L’ebola ha ucciso i loro genitori, e devono fare di tutto per sbarcare il lunario”.

Harding si è occupata di una ragazza di 18 anni che stava morendo di malaria. Aveva perso entrambi i genitori a causa dell’ebola e viveva con un uomo di 65 anni. “Era il suo amante”, sospira Harding. “Le ragazze vanno con i vecchi solo perché non riescono a trovare da mangiare. Stanno con loro per la sicurezza e per i soldi”.

Epidemia di gravidanze in età adolescenziale

Anche quelle che non hanno perso la famiglia subiscono le conseguenze economiche dell’ebola. Il commercio si è fermato, i mercati sono stati chiusi e molte di loro sono sprofondate nella miseria. Anche prima dell’epidemia di ebola e della chiusura delle scuole decisa dal governo liberiano, molte famiglie preferivano mandare le figlie a lavorare piuttosto che a studiare. E, fuori delle aule e lontano dalla loro relativa sicurezza, i rischi di violenza sessuale sono ancora più elevati.

In Sierra Leone e in Liberia, le adolescenti incinte non hanno il diritto di andare a scuola

Adesso che la minaccia dell’ebola si è attenuata e le organizzazioni umanitarie fanno i bagagli, le vittime di questa seconda epidemia sono lasciate a se stesse. “Prima era spaventoso, ma dopo l’ebola è ancora peggio”, commenta Marie Harding. “A volte arrivano qui ragazze incinte di tredici anni. L’ebola ha reso le cose davvero difficilissime per loro”.

L’Africa occidentale dovrà gestire per anni, se non per generazioni, gli effetti a lungo termine di questa epidemia di gravidanze in età adolescenziale. Per esempio, la Liberia proibisce alle adolescenti incinte di andare a scuola, una misura che approfondisce ulteriormente le disuguaglianze scolastiche e obbliga le donne a lavorare per salari bassissimi. In Sierra Leone, le adolescenti incinte semplicemente non hanno il diritto di andare a scuola, né di giorno né di sera.

In Liberia, uno dei pochi istituti che accettano allieve incinte si chiama More Than Me. Nell’edificio verde e bianco situato in una strada commerciale, cosparsa di bancarelle, le 150 studentesse non ci sono per un periodo di vacanza e nei corridoi si incrociano soltanto professori e impiegati amministrativi.

“La nostra è l’unica scuola che si occupa delle ragazze di West Point”, dichiara Iris Martor, responsabile dei programmi scolastici. Ma anche qui, dove il personale fa di tutto per formare delle ragazze altrimenti escluse dal sistema educativo, alcune adolescenti sono state rimandate a casa quando la loro gravidanza è diventata troppo visibile. “Non volevamo rischiare la chiusura per avere violato la legge”, precisa Martor.

Questi effetti a lungo termine non si limitano alle carenze educative. Le madri adolescenti sono più a rischio rispetto alle possibili complicazioni sanitarie – parti troppo lunghi, fistole ostetriche o addirittura morte durante il parto. Parallelamente, la mortalità infantile dei neonati figli di madri adolescenti è più alta. Si tratta di problemi ignorati dalle organizzazioni internazionali intervenute durante la crisi dell’ebola e rimaste quasi cieche di fronte ai possibili effetti secondari dell’epidemia.

In Sierra Leone, il personale dei Rainbo centres (strutture mediche dedicate alle vittime di stupro) aveva avvertito l’Undp della recrudescenza degli stupri e delle violenze sessuali durante l’epidemia. E sottolinea che le vittime non sono state supportate in modo adeguato e che i pochi servizi esistenti sono stati ostacolati dall’epidemia e dalle misure adottate per affrontarla.

Restano senza investimenti due settori vitali per i paesi colpiti dalle epidemie: i servizi sanitari locali e le infrastrutture

Un fenomeno che si spiega soprattutto osservando come si formano le squadre incaricate di contrastare le epidemie: arrivano, lavorano per fermare la diffusione della malattia e ripartono prima possibile. “Semplicemente non avevamo i mezzi per vedere al di là dell’epidemia”, conferma Kaci Hickox, infermiera di Medici senza frontiere (Msf), presente in Sierra Leone nel 2014. “Non eravamo assolutamente preparati ad affrontare gli stupri e la violenza sessuale, l’epidemia era troppo diffusa. Gli operatori umanitari erano del tutto sopraffatti”.

Secondo Onyango, che è specializzata anche in emergenze umanitarie, la colpa non è solo di Msf e delle altre ong. “È molto complicato quello che devono fare”, dice. “Devono concentrarsi su un problema alla volta. E poi c’è il problema dei donatori, che mandano il loro assegno quando c’è un’emergenza e passano a un’altra crisi quando l’emergenza finisce”.

Seguendo questa logica restano senza investimenti due settori vitali per i paesi colpiti dalle epidemie: i servizi sanitari locali e le infrastrutture, senza i quali questi paesi corrono ancora di più il rischio di una nuova epidemia – accompagnata da ondate di violenze sessuali che colpiscono la popolazione femminile.

Al momento, sono le persone come Marie Harding a dover gestire da sole l’impatto invisibile dell’ebola. In piedi al centro della sala d’attesa del centro medico Star of the Sea, chiama Williams. La ragazza, con la bambina in braccio, si alza e passa davanti a un gruppetto di adolescenti, perlopiù vittime di aggressioni sessuali durante l’epidemia.

“Sono venuti in tanti a dare una mano durante l’epidemia di ebola”, dice Harding. “Oggi dicono che l’ebola se n’è andato, e se ne vanno anche loro. Ma ci sono queste ragazze che hanno sofferto, che hanno avuto dei bambini. Chi le aiuterà?”.

(Traduzione di Cristina Biasini)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it