14 settembre 2016 14:32

L’offensiva lampo del generale ribelle Khalifa Haftar, che in pochi giorni ha conquistato quattro importanti terminal petroliferi, ha riportato l’attenzione della comunità internazionale sulla Libia.

Dall’11 settembre Haftar, che comanda le truppe del governo con sede nell’est della Libia (non riconosciuto dalla comunità internazionale), ha preso il controllo di Ras Lanuf, Al Sidra, Zuweitina e Brega. Si tratta di quattro località chiave per l’esportazione del petrolio, la principale ricchezza del paese. Dalla caduta di Muammar Gheddafi nel 2011, l’industria petrolifera libica è crollata e attualmente la produzione raggiunge a fatica i 200mila barili al giorno, appena il 12 per cento dei livelli precedenti al 2011.

Gli impianti petroliferi conquistati da Haftar sono fermi dall’estate del 2013, ma avrebbero dovuto essere rimessi presto in funzione. Fino a pochi giorni fa questo tratto di costa, la “mezzaluna del petrolio”, era controllato dalle Guardie delle installazioni petrolifere, una milizia locale comandata da Ibrahim Jadhran, che la scorsa primavera aveva giurato fedeltà al governo di unità nazionale di Fayez al Sarraj. Le autorità di Tripoli hanno poi stretto un accordo con Jadhran e si preparavano a riprendere le esportazioni di greggio, finché non sono arrivate le truppe di Haftar.

Ora si teme che il generale ribelle si spinga ancora più a ovest, fino a Sirte. L’inviato dell’Onu in Libia, Martin Kobler, ha comunque precisato che le installazioni petrolifere possono essere gestite solo dal governo di unità nazionale e che la risoluzione 2259 del Consiglio di sicurezza dell’Onu vieta “le esportazioni illegali”.

La battaglia di Sirte
L’offensiva, duramente criticata dagli Stati Uniti e da cinque paesi europei (Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito), mette una seria ipoteca sui tentativi di istituire un consiglio militare che riunisca i soldati dell’est e dell’ovest del paese. Al Sarraj ha comunque invitato tutte le parti a riunirsi per discutere di una soluzione che metta fine al conflitto tra il governo di Tripoli e quello di Tobruk, in Cirenaica.

Al potere da marzo, il premier Al Sarraj fatica a estendere la sua autorità sull’intero paese. Le sue truppe sono impegnate a Sirte contro il gruppo Stato islamico, che ha occupato la città all’inizio del 2015. Una settimana fa il segretario alla difesa statunitense Ash Carter ha dichiarato che i soldati libici, sostenuti da Washington e dall’Onu, stavano per scacciare definitivamente i jihadisti da Sirte, dove ormai rimangono solo sacche di resistenza.

Ora l’apertura di un nuovo fronte nell’est rischia di mettere a dura prova le forze di Al Sarraj, che oltre alla campagna di Sirte, devono cercare di riunire numerose milizie rivali (secondo alcune stime, sono più di 1.700) che imperversano nel paese dalla caduta di Gheddafi.

L’ospedale italiano
I paesi che sostengono gli sforzi di Tripoli sono in particolare gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Italia, per cui il ritorno alla stabilità in Libia potrebbe portare a una riduzione del flusso di migranti che attraversano il mar Mediterraneo per entrare nell’Unione europea. Il 13 settembre il governo italiano ha annunciato l’invio di trecento militari per allestire un ospedale da campo a Misurata.

L’operazione Ippocrate sarà composta da sessanta tra medici e infermieri, 135 persone per il supporto logistico e 100 soldati addetti alla sicurezza. Ci saranno anche un aereo per le evacuazioni e una nave al largo delle coste libiche. La ministra della difesa italiana Roberta Pinotti non ha indicato una data precisa per l’inizio della missione, ma ha aggiunto che il contingente sarà “immediatamente operativo”.

Critiche a Londra per l’intervento del 2011
Nel Regno Unito, invece, il 14 settembre è stato pubblicato un rapporto molto critico sull’ex premier David Cameron e sull’intervento in Libia nel 2011. I parlamentari della commissione affari esteri hanno riscontrato vari errori nel processo decisionale che ha portato Londra a intervenire militarmente insieme alla Francia, con la giustificazione di dover difendere i civili minacciati dal dittatore Muammar Gheddafi.

Secondo il rapporto, queste minacce non sono state verificate né sono state identificate per tempo la fazioni islamiche radicali all’interno della ribellione. A cinque anni dall’intervento, commenta il Guardian, riprendendo le parole del diplomatico britannico Jonathan Powell, la Libia sta diventando “una Somalia sul Mediterraneo”.

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