07 febbraio 2017 12:06

Attaccare invece di subire. Dopo aver affrontato le conseguenze del jihadismo sul suo territorio, il 5 febbraio la Turchia ha lanciato un’imponente operazione di polizia contro persone sospettate di avere legami con il gruppo Stato islamico (Is). In un primo tempo sono stati fermati quasi 450 sospetti, in gran parte stranieri. Il 6 febbraio l’agenzia di stampa filogovernativa Anadolu ha scritto che le persone arrestate sono state 820, in 29 delle 81 province turche.

La più grande retata mai compiuta nel paese arriva a poco più di un mese dall’attentato alla discoteca Reina di Istanbul. L’attacco, rivendicato dall’Is, aveva causato 39 morti, tra cui molti turisti provenienti da paesi arabi.

Il doppio gioco di Ankara
L’azione preventiva delle autorità turche non è casuale. Negli ultimi due anni vari attacchi dell’Is hanno insanguinato il paese, che per molto tempo è stato accusato di fare il doppio gioco nei confronti degli integralisti islamici, sposando la linea dura a parole, ma in pratica adottando una politica molto flessibile.

A questo bisogna aggiungere il fatto che Ankara è impegnata da agosto nell’operazione Scudo dell’Eufrate, che ha l’obiettivo di allontanare i miliziani di Abu Bakr al Baghdadi dal nord della Siria. Attualmente l’offensiva si concentra su Al Bab, una località strategica nella provincia di Aleppo dove, secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani, l’Is sarebbe ormai sotto assedio.

L’operazione di domenica avrà un effetto positivo? Citato dal New York Times, l’ex diplomatico ed esperto della fondazione Carnegie Europe, Sinan Ülgen esprime dei dubbi, spiegando che la polizia e la magistratura turche colpiscono spesso in modo casuale. A sua volta Ahmet Yayla, ex alto funzionario del reparto antiterrorismo, mette in discussione l’efficacia dell’operazione, affermando che la polizia non ha i mezzi per redigere i verbali, interrogare e svolgere le pratiche burocratiche per un numero così alto di sospetti contemporaneamente.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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