16 febbraio 2017 11:19

I tedeschi sono noti per il duro lavoro e l’efficienza ma non necessariamente per lo spirito imprenditoriale. Aprono meno nuove attività di statunitensi, svedesi e perfino dei francesi. Ma la recente ondata migratoria sta facendo crescere il numero di nuove aziende. Nel 2015, il 44 per cento delle nuove attività registrate in Germania è stato fondato da persone con passaporto straniero (nel 2003 erano appena il 13 per cento). In totale, circa un quinto di tutte le persone impegnate in attività imprenditoriali è nato all’estero.

La percentuale è probabilmente destinata a crescere con l’arrivo di oltre un milione di profughi negli ultimi due anni. Il numero dei lavoratori autonomi di origine mediorientale è salito di circa due terzi tra il 2005 e il 2014, secondo René Leicht e Stefan Berwing, ricercatori presso l’università di Mannheim. “C’è stata una crescita nella creazione di attività delle persone provenienti da Siria, Iraq e Afghanistan”, spiega Malik Leonhardt di Ihk Berlin, un’associazione di piccole e medie imprese.

Alcuni profughi arrivano in Germania già con l’idea creare una propria azienda. La famiglia di Iyad Slik possiede una fabbrica di dolciumi in Siria, e quando è arrivato a Berlino, tre anni fa, ha deciso di aprire una nuova sede. “L’anno scorso, per la prima volta, abbiamo avuto un margine di guadagno”, racconta Slik. La sua scommessa – convincere i tedeschi a mangiare frutta candita e quadrati di caramello ripieni di pistacchi siriani – sta avendo successo: tra i suoi clienti ci sono già KaDeWe, un centro commerciale di lusso e lo scintillante hotel Adlon.

I vantaggi del lavoro autonomo
Altri diventano imprenditori per forza di cose. Hussein Shaker, un programmatore, non aveva previsto di aprire un’attività in Germania: “Volevo solo un posto di lavoro nel settore tecnologico”. Bloccato a lavorare in un call center, Shaker si è reso conto di non essere l’unico dei suoi amici siriani a svolgere un lavoro al di sotto delle sue qualifiche. Insieme ad alcuni soci del mondo delle startup berlinesi ha creato un sito web per rifugiati, MigrantHire, che attualmente mette in contatto tredicimila persone in cerca d’impiego con duemila offerte di lavoro.

L’imprenditoria, tra i migranti, è una scelta che deriva in parte dalle difficoltà ad accedere al normale mercato del lavoro. Molte start-up nell’ultimo decennio sono state create da cittadini dell’est europeo, provenienti da paesi dell’Unione europea ma che non garantiscono gli stessi diritti del lavoro presenti in altri stati dell’Ue.

Gli stessi tedeschi sono più riluttanti a diventare imprenditori, in particolare a causa della bassa disoccupazione

Il lavoro autonomo offre ai migranti più ambiziosi delle prospettive migliori, spiega Leicht: “Il loro reddito sale velocemente, tendono a fare cose più in linea con le loro qualifiche e la discriminazione è meno forte”. Chi cerca lavoro e ha un nome che suona straniero ha più difficoltà a farsi assumere nei colloqui con le aziende tedesche. In uno studio sugli imprenditori migranti effettuato da KfW, una banca per lo sviluppo tedesco, un terzo delle persone prese in esame ha affermato che non trovava un altro modo di guadagnarsi da vivere.

Essere un imprenditore in Germania non è certo una cosa semplice: la Banca mondiale mette il paese solo al 114° posto nella classifica della facilità di creazione di nuove attività. I programmi d’integrazione nei centri per l’impiego spingono perlopiù i migranti verso le scuole di lingua o verso un lavoro ordinario, invece d’incoraggiarli a mettersi in proprio. E destreggiarsi nella burocrazia può essere difficile. “Ci sono così tante regole e questioni legali di cui nessuno ti parla”, racconta Shaker. Inoltre gli stessi tedeschi sono più riluttanti a diventare imprenditori, in particolare a causa della bassa disoccupazione. Il numero dei tedeschi nativi che sono lavoratori autonomi è sceso del 3 per cento dal 2005 al 2015.

Uno dei motivi per cui i migranti mostrano un maggiore entusiasmo imprenditoriale è che sono, per natura o per necessità, persone abituate ad assumersi rischi. Ai molti che sono fuggiti dalla guerra civile, che hanno attraversato il Mediterraneo e hanno percorso a piedi buona parte dell’Europa, avere a che fare con la burocrazia tedesca e ottenere un prestito non appare un problema insormontabile.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale britannico The Economist.

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