28 marzo 2017 16:54

Il 28 marzo, alle 16.30, è ripreso in aula al senato l’esame del decreto Minniti-Orlando che introduce nuove regole sul diritto d’asilo in Italia e prevede l’allargamento della rete dei centri di detenzione per i migranti irregolari che devono essere rimpatriati. La scorsa settimana si è conclusa la discussione generale sul provvedimento e mancano ancora le repliche del relatore e del governo, al cui termine l’esecutivo dovrebbe mettere la fiducia. Il decreto, presentato il 10 febbraio, è in prima lettura al senato e deve essere approvato entro il 17 aprile. È molto probabile però che il voto finale sul decreto slitterà al 29 marzo. Ecco i principali punti critici della legge.

Un Cie in ogni regione. La rete dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) sarà estesa: i Cie attivi passeranno da quattro a venti, su tutto il territorio nazionale. I centri si chiameranno Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) e avranno un totale di 1.600 posti. Di fronte alle preoccupazioni espresse da numerose organizzazioni impegnate per la difesa dei diritti umani, il ministro dell’interno Marco Minniti ha assicurato che i nuovi centri saranno piccoli, con una capienza di cento persone al massimo, sorgeranno lontano dalle città e vicino agli aeroporti e soprattutto saranno “tutt’altra cosa rispetto ai Cie”.

Nel 2016 sono stati rimpatriati 5.066 migranti a fronte di 38.284 migranti irregolari e la volontà del governo guidato da Paolo Gentiloni sarebbe d’incrementare i rimpatri di cittadini stranieri nei prossimi mesi. Questo nel quadro di politiche europee sempre più orientate al rimpatrio delle persone che non riescono a ottenere una forma di protezione in Europa, un gruppo sempre più esteso. Questa proposta è stata criticata da tutte le organizzazioni che si occupano di immigrazione. “Sono strutture inutili, inefficienti e costose con condizioni di trattenimento lesive della dignità umana e soprattutto inutili al contrasto dell’immigrazione irregolare”, ha detto la portavoce di LasciateCIEntrare Gabriella Guido. “Accoglienza è la parola d’ordine. LasciateCIEntrare proseguirà nella lotta per la loro completa e definitiva chiusura”.

Abolizione del secondo grado per i richiedenti asilo. Già nel giugno del 2016 il ministro della giustizia Andrea Orlando aveva anticipato questa proposta di riforma della legge sull’asilo. Il ministro Orlando, durante un’audizione davanti al comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, aveva parlato di un disegno di legge delega al vaglio del dipartimento per gli affari giuridici e amministrativi (Dagl) della presidenza del consiglio. Il cuore della riforma è l’annullamento del grado d’appello per chi ha ricevuto un diniego dell’asilo in primo grado. Il ministro della giustizia è partito dal presupposto che nei primi cinque mesi del 2016 sono stati presentati 15.008 ricorsi da parte di richiedenti asilo a cui la commissione territoriale, l’organo amministrativo preposto, aveva negato la protezione internazionale (soprattutto nei tribunali di Napoli, Roma e Milano), ma nello stesso periodo le sentenze di primo grado sono state solo 985, una ogni 15 richieste di ricorso.

La durata dei procedimenti di primo grado è in media di 167 giorni (sei mesi), “un procedimento relativamente snello se comparato al contenzioso civile”. Per velocizzare questa procedura, il governo ha proposto la creazione di tribunali di primo grado specializzati con giudici dedicati, la soppressione del grado di appello contro la decisione di primo grado del tribunale e infine l’abolizione dell’udienza. L’attuale “rito sommario di cognizione” sarà sostituito con un rito camerale senza udienza, nel quale il giudice prenderà visione della videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo davanti alla commissione territoriale. Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Asgi e presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus, di Trieste, spiega che la proposta più grave è quella di annullare l’udienza, cioè la possibilità del giudice di primo grado di ascoltare di persona il richiedente asilo. “Questa proposta è in contrasto con quello che è previsto dal nostro ordinamento per quando riguarda il ruolo del giudice nell’accertare la violazione di un diritto soggettivo”. Secondo Schiavone, la proposta collide anche con la direttiva europea sulle procedure (art. 46, 32/2013). “Assicurare un ricorso effettivo ex nunc comporta che il giudice debba ascoltare il richiedente asilo, fargli delle domande e andarsi ad ascoltare le fonti: cioè esaminare tutti gli elementi di fatto e di diritto, non solo una videoregistrazione”, spiega Schiavone.

Un altro aspetto grave della riforma, secondo Schiavone, è l’abolizione dell’appello. “Siamo di fronte a una procedura che ha lo scopo di accertare la lesione di un diritto fondamentale, un diritto che, se violato, comporta un pericolo come violenze, torture, persecuzioni, fino al rischio della vita della persona. Non avere un secondo grado di giudizio è molto grave, si attribuisce al giudice di primo grado tutta la responsabilità, in un paese in cui manca una cultura diffusa nella magistratura su questi temi”, spiega Schiavone. “Se la preoccupazione del governo è quella di ridurre i costi dell’accoglienza per i richiedenti asilo che hanno ricevuto un diniego dalla commissione e dal tribunale di primo grado, allora si può prevedere una diversa disciplina della cosiddetta sospensiva, ma non si può sopprimere il diritto all’appello per sospendere i benefici che questo comporta”, afferma Schiavone.

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