13 settembre 2023 15:40

La devastazione causata dal passaggio del ciclone Daniel sulla Libia orientale, tra il 9 e l’11 settembre, è senza fine. La città di Derna, in parte distrutta dall’acqua, ne è il simbolo. Il bilancio definitivo delle vittime non è ancora definitivo ed è in costante aumento.

Nella Libia divisa, il governo orientale della Cirenaica non è riconosciuto dalla comunità internazionale, e sostiene che ci siano migliaia di morti solo a Derna, un comune di quasi centomila abitanti. La Croce rossa e la Mezzaluna rossa affermano che i dispersi sono diecimila e il numero dei morti è “enorme”. “Il mare riporta a riva costantemente dozzine di cadaveri”, ha detto Hichem Abu Chkiouat, ministro dell’aviazione civile nell’amministrazione che governa la Libia orientale.

“Finora abbiamo contato più di 5.300 morti e il numero è destinato ad aumentare in modo significativo e potrebbe addirittura raddoppiare perché sono disperse migliaia di persone”, ha aggiunto. Ma non ci sono di fatto giornalisti indipendenti nella zona, quindi è molto complicato avere dati precisi.

L’acqua ha trascinato un numero imprecisato di corpi, disperdendoli tra le macerie o spingendoli verso il mar Mediterraneo, su cui la città si affaccia. Le immagini di questi cadaveri, avvolti in spesse coperte trasformate in sacchi per i morti, confermano la portata del disastro. E non mancano le prime fosse comuni.

Un’ondata di fango

A Derna in poche ore sono caduti più di quattrocento millimetri di pioggia, l’equivalente di un anno e mezzo di precipitazioni, e due dighe a monte della città sono crollate. I testimoni descrivono un’ondata di acqua e fango alta diversi metri che ha spazzato via dodici ponti, dighe ed edifici a più piani costruiti lungo il Wadi Derna, il corso d’acqua che attraversa la città.

Le dighe Al Bilad e Abu Mansur hanno cominciato a funzionare nel 1986 per controllare le esondazioni dei fiumi che in precedenza avevano già coinvolto la zona. Nel 1959 centinaia di persone morirono a causa delle alluvioni.

La portata del disastro ha spinto il consiglio presidenziale libico, riconosciuto all’estero, a chiedere “solidarietà al mondo”. La Turchia è stata la prima a rispondere, inviando la sua Autorità per la gestione dei disastri e delle emergenze (Afad). Il 12 settembre all’alba un aereo militare è partito da Ankara per Benina, vicino a Bengasi, la seconda città del paese, con a bordo soccorritori, veicoli e imbarcazioni di salvataggio. Nel corso della giornata sono seguiti altri due voli. Sono arrivati ​​anche i soccorritori dagli Emirati Arabi Uniti.

Il vicino Egitto ha inviato il suo capo di stato maggiore Osama Askar accompagnato da una squadra di soccorso e da attrezzature. Il Cairo, alleato del maresciallo Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, ha annunciato aiuti materiali e la realizzazione di un “corridoio aereo”. L’Algeria, da parte sua, ha inviato otto aerei con “attrezzature mediche e aiuti alimentari”.

Dopo anni di guerra civile, seguiti alla fine del governo di Muammar Gheddafi nel 2011, gli aiuti internazionali alla Libia si erano in gran parte fermati. “C’è stato un disimpegno dai progetti di sviluppo dei donatori umanitari internazionali, che invece intervengono in contesti di emergenza e di crisi con progetti di aiuto diretto. Questo disimpegno si è accelerato negli ultimi due anni”, osserva un dirigente dell’ong Humanité & Inclusion, presente nella Libia occidentale.

La riduzione degli aiuti internazionali è legata a un contesto di “transizione” in un “paese che si muove verso progetti di sviluppo e di ricostruzione, ma dove permangono situazioni che richiedono assistenza umanitaria”. Al livello internazionale, dopo l’inizio della guerra contro l’Ucraina, nel febbraio 2022, gran parte dei fondi è stata reindirizzata verso il paese dell’Europa orientale. L’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento delle questioni umanitarie ha affermato che le squadre di emergenza sono state mobilitate per aiutare sul campo.

Podcast

Le alluvioni in Libia nella cronaca di Reem Elbreki, direttrice dell’agenzia di stampa Akhbarlibya24 di Bengasi. Ascolta qui la puntata di Il Mondo

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