23 luglio 2023 09:11

“Il secondo arrivato è il primo dei perdenti” è un aforisma generalmente attribuito al leggendario pilota automobilistico della formula Nascar Dale Earnhardt. O come ebbe a dire una volta mio padre (per lo più) scherzosamente: “Non basta vincere: i tuoi amici devono perdere”.

Forse non vogliamo che gli altri sappiano che la pensiamo in questo modo. Ma la pensiamo proprio così, perché gli esseri umani sono nati per competere tra di loro. Se probabilmente nel nostro passato era un tratto evolutivo derivato da una carenza cronica di risorse, il desiderio di prevalere si manifesta ancora in molti ambiti della vita, a volte in modi assurdi. Le persone fanno a gara per mettersi in fila per salire su un aereo. Si confrontano su quanti like hanno sui social. Vediamo miliardari che invidiano multimiliardari, e attori famosi che si lamentano sugli Oscar o sugli Emmy che non gli sono stati assegnati. Nel mio mondo, quello accademico, ho assistito ad accese discussioni per pochi metri quadrati di spazio lavorativo.

Nonostante lo spirito di competizione sia naturale quanto respirare, non sempre porta a grandi risultati. Al contrario, se non viene tenuto a freno può creare sofferenza per noi e per gli altri. Fortunatamente, esiste una formula per risolvere questo problema, senza affermare irrealisticamente che possiamo fare a meno del nostro desiderio di competere: invece di scegliere sempre l’oro, si può scegliere il bronzo.

Per ampliare la saggezza di Earnhardt, anche se il secondo arrivato è il primo dei perdenti, il terzo può essere il vero vincitore – almeno quando si parla di felicità e di longevità. Questa conclusione emerge da una ricerca condotta sugli atleti olimpici. In uno studio del 1995 pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology, gli scienziati hanno studiato le reazioni emotive dei vincitori delle medaglie d’argento e di bronzo durante le Olimpiadi del 1992 di Barcellona, sia immediatamente dopo la gara sia più tardi sul podio della premiazione. Hanno scoperto che i vincitori delle medaglie di bronzo sembravano in media molto più felici dei vincitori delle medaglie d’argento (lo studio non ha preso in esame i vincitori delle medaglie d’oro).

Una ricerca più recente ha preso in esame la durata della vita dei vincitori di tutte e tre le categorie di medaglie. Uno studio del 2018 pubblicato sulla rivista Economics & Human Biology ha tracciato la longevità media degli atleti che hanno rappresentato gli Stati Uniti nelle Olimpiadi dal 1904 al 1935, scoprendo che coloro che hanno conquistato l’argento hanno vissuto fino a 72 anni. Le medaglie d’oro li hanno battuti di quattro anni, vivendo fino a 76 anni. Ma il primo premio per la longevità va alle medaglie di bronzo, che hanno vissuto fino a 78 anni.

Lo studio aveva una spiegazione per questa discrepanza: “I risultati insoddisfacenti di una competizione possono influire negativamente sulla salute”. In altre parole, le medaglie d’argento si considerano i primi perdenti perché guardano il gradino superiore e si confrontano solo con le medaglie d’oro, mentre i vincitori del bronzo si confrontano positivamente con tutti gli altri che non sono riusciti a salire sul podio (sarebbe interessante sapere quanto abbiano vissuto i poveretti arrivati quarti).

Questa ipotesi si basa su un’ampia letteratura che mostra la differenza tra il confronto sociale verso l’alto e verso il basso. Quando ci confrontiamo con chi ha più soldi e più potere, ci sentiamo spesso come… be’, dei perdenti. Cosa significa esattamente essere famoso, ricco o veloce, oltre al fatto di avere più fama, più soldi o più abilità atletiche di qualcun altro (cioè, te)?

È per questo che le persone spesso si sentono a disagio dopo aver guardato sui social la vita degli altri che postano solo vittorie e festeggiamenti. Il confronto verso il basso, invece, fa stare meglio le persone con se stesse, e quindi più felici. Infatti, i ricercatori hanno scoperto che confrontare la nostra situazione con le tante altre più sfortunate è una tecnica affidabile per ridurre il cattivo umore – e non per via della gioia che suscitano le disgrazie altrui o per cattiveria, ma perché i premi nella vita sono sempre relativi. Così, come per gli atleti vincitori di medaglie, la percezione della posizione delle altre persone ci aiuta a dare un senso alla nostra buona sorte.

La strategia di gareggiare per l’oro ogni giorno, per raggiungere la felicità, è alquanto sciocca. Incentrare le proprie aspettative sulla soddisfazione di diventare un “numero uno” è la strategia più incerta che si possa adottare. È probabile che si passerà la maggior parte del tempo a sentirsi come la medaglia d’argento: agognare di continuo e puntare la propria felicità su un unico risultato, soccombendo ancora una volta alla tirannia delle probabilità e andando incontro a grandi delusioni. Molto meglio, allora, mirare a una competizione salutare in cui si fa del proprio meglio senza aspettarsi di essere l’unico vincitore. Ecco qui tre cose da tenere a mente mentre si segue uno stile di vita felice da medaglia di bronzo.

Pensare localmente, non globalmente

Uno dei problemi più grandi del confronto sociale è il vasto gruppo di persone con cui, in quasi tutti i settori della vita, ci si può rapportare. Siamo quotidianamente messi al corrente sulla vita delle persone più ricche, più potenti, più attraenti e più apprezzate del pianeta. La tecnologia moderna offre standard competitivi impossibili da soddisfare.

Comprendere questo e modificare il proprio gruppo di confronto può aiutare a combattere l’angoscia moderna che ne consegue. Invece di entrare nella vita dei ricchi e famosi con Instagram o su Hulu, prendete parte alla vita delle persone della vostra comunità. Piuttosto che sognare di fare un concerto alla Carnegie Hall, andate a suonare al centro sociale del vostro quartiere. Vivere localmente ci offre un corretto quadro di riferimento per i nostri traguardi – quello che, secondo alcuni studiosi, meglio corrisponde al nostro ambiente naturale, in grado di restituirci la soddisfazione di cui abbiamo bisogno.

Non fare che la tua competizione sia “una volta nella vita”

La competizione è problematica per la felicità quando implica un solo evento, per esempio le Olimpiadi. Ci servono molte opportunità per eccellere, e mettere a rischio tutta la percezione che abbiamo di noi stessi in un unico evento, probabilmente porterà alla delusione. Anche se vinciamo, una singola vittoria significa che il nostro momento più importante fa già parte del passato. Un ex atleta una volta mi disse che il suo maggiore trofeo era diventato fonte di amarezza. “Si trova sulla mensola e si prende gioco di me, perché non sono più all’altezza”, disse. Molto meglio, se possibile, prendere parte a competizioni che si ripetono nel tempo. Nel lavoro, per esempio, si può far sì che una competizione amichevole sia un evento di routine, in cui a volte si vince e a volte no.

Forse questo vi sembrerà poco ambizioso o innaturale, ma quello che vi sto proponendo è una vera strategia di adattamento. Un’interessante ricerca condotta sui ratti ha evidenziato come i giovani esemplari lottino per gioco come parte del loro sviluppo. Di regola, un ratto attacca per primo, ottiene un vantaggio e potrebbe “vincere” quasi ogni volta. Ma per far proseguire la lotta, lascia che il topo che si difende abbia la meglio il 30 per cento delle volte. Fate a gara come un topo felice.

Fate a gara con voi stessi invece che con gli altri

Uno dei problemi della maggior parte delle competizioni contro gli altri è che tendono a diminuire le motivazioni intrinseche, e quindi il divertimento che le persone traggono dalle loro attività. Alcuni decenni fa, i ricercatori hanno dimostrato tutto questo in alcune prove di resistenza, chiedendo a gruppi di persone di risolvere dei rompicapo per poi verificare il loro interesse: ebbene, le persone trovavano i rompicapo meno gratificanti quando giocavano contro gli altri rispetto a quando giocavano contro il tempo. Avere semplicemente un limite di tempo significa competere contro se stessi, e spesso è più divertente. Qui vediamo all’opera il principio secondo il quale provare a migliorare le prestazioni passate dà un senso non di “vittoria” ma di progresso.

Nel caso in cui tutto quello che ho detto non sia valido, voglio menzionare un ultimo motivo per cui valga la pena scegliere il bronzo, che arriva direttamente dagli antichi greci. L’archeologo Stephen Gaylord Miller ha descritto i giochi funebri in onore di Patroclo, in cui gli atleti si mettevano alla prova fisicamente e mentalmente come per affermare trionfalmente: “Io sono vivo!”. Se adotterete questo sistema nelle competizioni quotidiane della vostra vita, otterrete giustamente il premio più ambito: la vita stessa. E l’unica persona con cui dovrete confrontarvi, siete voi stessi.

(Traduzione di Amadio Ruggeri)

Questo articolo è stato pubblicato dall’Atlantic.

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