15 marzo 2022 15:37

Nel giro di pochi giorni Stati Uniti, Europa e altri paesi hanno scomunicato la Russia dal palcoscenico mondiale, isolando finanziariamente, commercialmente e culturalmente l’undicesima economia più grande del mondo. Washington e l’Unione europea hanno congelato i patrimoni stranieri detenuti dalla banca centrale della Russia, colpendo la capacità del paese di stabilizzare la sua valuta. Le aziende private, tra cui la Apple, Netflix, l’Adidas e la Bp, hanno tagliato fuori il mercato russo e gli Stati Uniti hanno intrapreso passi per mettere al bando le importazioni di petrolio dal paese. I campionati sportivi, i festival cinematografici e altre istituzioni culturali hanno estromesso i concorrenti russi. McDonald’s chiuderà le sue filiali in Russia.

Molte di queste misure non hanno precedenti per un paese di queste dimensioni. Rappresentano nel complesso un esperimento radicale di punizione morale su scala globale. Se Vladimir Putin desiderava espandere l’impero russo con l’uso della forza, il risultato che ha ottenuto è l’opposto: il ridimensionamento di Mosca attraverso una dimostrazione inedita di soft power.

Un salto nel buio
Le conseguenze immediate sono già sconvolgenti. Da entrambi i lati di questa nuova cortina di ferro i prezzi delle materie prime sono alle stelle e gli indicatori economici stanno crollando. Il petrolio è ai suoi massimi storici e il Nasdaq è in fase di forte ribasso. I prezzi del nichel si sono impennati e il rublo è crollato del 50 per cento. I prezzi all’ingrosso dell’energia in Europa hanno infranto tutti i record storici e una recessione europea appare ormai più che probabile. L’economista Mark Zandi ha affermato che c’è “una probabilità su tre” che quest’anno gli Stati Uniti vadano in recessione.

E questo è solo l’inizio. Come tutti i nuovi esperimenti, la punizione collettiva della Russia è un salto nel buio. Non dovremmo essere troppo certi di quanto a lungo dureranno questi provvedimenti, né del genere di conseguenze indesiderate che potrebbero determinare. Dopo alcune letture e dopo aver parlato con gli esperti, però, ho messo a fuoco alcuni effetti significativi e di lungo periodo. Ecco tre modi in cui il blackout economico della Russia potrebbe cambiare il mondo.

La rivoluzione dell’energia pulita andrà alla velocità della luce

Le rivoluzioni tecnologiche nel ventunesimo secolo tendono a essere molto veloci. Ci sono voluti circa dieci anni perché la percentuale di americani con uno smartphone passasse dallo zero all’80 per cento. Le rivoluzioni energetiche però procedono più lentamente e la transizione verso l’energia pulita si è particolarmente allungata negli Stati Uniti e in Europa, il che potrebbe sorprendere tenuto conto del calo dei prezzi dell’energia solare. L’occidente si è semplicemente rifiutato di creare progetti di energia pulita con la rapidità necessaria a decarbonizzare la rete elettrica.

La guerra della Russia potrebbe accelerare la rivoluzione verde in due modi. In primo luogo, farà aumentare le pressioni politiche sui governi di Stati Uniti ed Europa affinché riducano la dipendenza dal petrolio e dal gas russi (gli Stati Uniti hanno già dichiarato di voler interrompere le esportazioni di energia dalla Russia e l’Europa sta prendendo in considerazione un divieto simile). Nel breve periodo i paesi faranno maggiore ricorso alle riserve di petrolio e gas per mantenere bassi i prezzi. Nel corso del tempo però il boicottaggio dell’energia russa potrebbe far salire il prezzo dell’energia termica abbastanza da costringere i paesi a mettere in piedi un numero maggiore di progetti di energia eolica e solare.

Per anni i progetti di energia pulita sono stati ostacolati da timori anticrescita, sentimenti antinucleari e un senso generalizzato di “non nel mio giardino”. L’urgenza di una minaccia esterna potrebbe spazzarne via alcuni. “Non possiamo parlare di rivoluzione delle rinnovabili se per ottenere il permesso di costruire un impianto eolico ci vogliono sette anni”, ha affermato la commissaria europea per l’energia Kadri Simson. “È ora di trattare questi progetti per quello che sono, ossia delle priorità per l’interesse pubblico”.

Spostamento di mercato
In secondo luogo, l’aumento dei prezzi dell’energia modificherà le preferenze di consumo, spingendo più consumatori ad abbandonare le automobili a benzina e diesel. Oggi meno del 5 per cento del mercato delle auto negli Stati Uniti è interamente elettrico. Tuttavia il settore sta spingendo moltissimo sui veicoli elettrici. Quasi una pubblicità su due di automobili mandata in onda durante il Super Bowl riguardava un veicolo elettrico. Questo spostamento di mercato potrebbe combinarsi con un aumento consistente dei prezzi della benzina tale da spingere più americani a comprare veicoli elettrici, il che a sua volta incoraggerà un numero maggiore di aziende automobilistiche a produrre veicoli elettrici. Il costo di questi veicoli potrebbe di conseguenza abbassarsi, spingendo in su la domanda.

Il possibile spostamento dalla sofferenza energetica al progresso energetico ha un precedente storico. Nel 1973 l’Opec tagliò fuori gli Stati Uniti e altri paesi dall’accesso al suo petrolio, determinando un incremento dei prezzi. Sebbene molti statunitensi associno quel periodo a una fase di stagnazione economica, la crisi spinse le aziende automobilistiche americane a diventare più efficienti dal punto di vista energetico. L’attuale economia dei carburanti misurata negli Stati Uniti in miglia per galloni è nata nel 1973. Cinquant’anni dopo assistiamo alla stessa dinamica: lo shock della sofferenza energetica sta determinando decenni di progresso.

Un nuovo impero cinese

A causa della scomunica commerciale, la Russia è diventata molto dipendente dalla Cina, che ha alternato le sue posizioni passando dall’incolpare l’occidente per il conflitto in Ucraina al prendere le distanze da Mosca, dal rifiuto di parlare di invasione alla condanna per le vittime civili agli appelli per la pace. Ciance retoriche a parte, la Cina continua a commerciare con la Russia e Pechino sta prendendo seriamente in considerazione l’ipotesi di acquisire delle partecipazioni nei giganti energetici russi abbandonati dalle aziende occidentali.
Michael Cembalest, direttore delle strategie per i mercati e gli investimenti della JP Morgan asset management, osserva che i due paesi si stavano avvicinando già prima della crisi ucraina. Dall’invasione russa della Crimea nel 2014, gli scambi tra loro sono aumentati del 50 per cento. “La Russia è oggi il principale destinatario del settore finanziario di stato cinese”, scrive Cembalest, ricordando come Pechino e Mosca abbiano cominciato a usare le loro valute per siglare accordi già a partire dal 2010, “aprendo nel 2014 una linea di swap in valuta che ha ridotto rapidamente la dipendenza” dal dollaro statunitense.

Sommando tutti questi fattori, sembra che la Cina potrebbe diventare l’ultima spiaggia per la Russia, che in questo modo potrebbe diventare una sorta di gigantesca Corea del Nord, lo stato canaglia che dal 2010 dipende dalla Cina per circa il 90 per cento dei suoi scambi commerciali. Uno scenario plausibile è dunque che il fallito tentativo di Putin di espandere l’impero russo farà crescere l’impero cinese, nel momento in cui Mosca dovrà fare affidamento unicamente su Pechino per evitare la rovina economica.

Una lotta globale per il cibo

Ucraina e Russia danno da mangiare a tutto il mondo. Assieme coprono il 30 per cento circa delle esportazioni mondiali di grano, il 20 per cento di quelle di mais e l’80 per cento di quelle di olio di semi di girasole. Diversi paesi, tra cui Egitto, Turchia, Bangladesh, Sudan e Pakistan ricevono la metà o anche più del loro grano dalla Russia o dall’Ucraina. Secondo l’emittente Npr, in generale una caloria su otto commerciata tra diversi paesi proviene dall’Ucraina o dalla Russia. E adesso i due paesi sono in guerra. Russia e Bielorussia sono anche importanti esportatori di fertilizzanti. L’incremento dei prezzi dei fertilizzanti potrebbe avere un enorme impatto sui raccolti oltre a determinare un aumento vertiginoso dei prezzi del pane.

Come ha spiegato il mio collega David Frum, una lotta globale per il cibo non sarebbe una cattiva notizia per tutti i poveri del mondo. Circa i due terzi degli africani subsahariani vivono di agricoltura e, con l’aumento dei prezzi dei generi alimentari, potrebbero guadagnare di più e sperimentare nuove innovazioni per accrescere la produttività. Molti dei paesi che più dipendono dalle importazioni da Russia e Ucraina hanno previsto la possibilità di interruzioni negli scambi e hanno accumulato scorte di grano e mais sufficienti ad andare avanti per diversi mesi.

Non è possibile tuttavia sottovalutare i rischi nel lungo periodo dell’instabilità politica. Diverse analisi delle rivolte popolari del 2011 che hanno rovesciato i governi di Tunisia ed Egitto durante le cosiddette primavere arabe ne hanno fatto risalire le origini a un incremento dei prezzi dei generi alimentari, soprattutto dei cereali. La guerra tra due grandi paesi granaio avrà un impatto ancora più devastante sui prezzi. Se è possibile trarre delle indicazioni da ciò che è accaduto nel 2011, più che una primavera araba potrebbe attenderci una primavera mondiale, un’ondata di instabilità politica globale. Le ultime settimane hanno già dimostrato la forza delle reazioni a catena sociali: quella che era cominciata come una sanzione finanziaria contro la Russia è diventata un boicottaggio mondiale del paese. Immaginiamo una reazione a catena sociale alimentata non solo dalla correttezza etica ma anche dalla fame.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul sito del mensile statunitense The Atlantic.

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