07 luglio 2023 12:13

È uscita in questi giorni L’Africa e la nascita del mondo moderno (Rizzoli), la traduzione italiana a cura di Lorenza Gambini e Monica Pezzella del saggio Born in blackness, pubblicato nel 2021 dal giornalista statunitense Howard French, ex corrispondente del New York Times dall’Africa e dalla Cina, e oggi docente della Columbia journalism school di New York. Nelle tante e positive recensioni uscite sui mezzi d’informazione internazionali, il merito principale attribuito al libro è aver colmato un vuoto nel racconto della storia mondiale, restituendo all’Africa e alle sue popolazioni il ruolo che hanno avuto nel favorire la nascita del mondo moderno (per intenderci, quello che viene dopo l’epoca delle grandi scoperte geografiche). Un ruolo che è scarsamente riconosciuto, se non del tutto ignorato, quando queste vicende sono insegnate nelle scuole, in Italia come all’estero.

“Sarebbe insolito che una storia iniziata da presupposti sbagliati arrivasse alle giuste conclusioni. E questo vale anche per la storia che ci raccontiamo sulla nascita di ciò che è comunemente considerato il mondo moderno”, scrive French nell’introduzione del libro (pubblicata anche su Internazionale), che ben sintetizza l’intento del suo lavoro. L’autore afferma che “la spinta che diede inizio all’età delle scoperte geografiche non fu il desiderio degli europei di instaurare rapporti con l’Asia, ma piuttosto la brama secolare di stringere legami commerciali con quelle società nere che, secondo le leggende, erano estremamente ricche e vivevano nascoste da qualche parte nel cuore dell’Africa ‘nera’ occidentale”.

Ma da dove nasceva questa “brama”, e dove ha portato i navigatori europei del quattrocento? Cristoforo Colombo, Vasco da Gama, Magellano: i nomi più famosi li conosciamo, ma nessuno di loro è passato alla storia per essersi diretto in Africa. Eppure i rapporti tra i due continenti c’erano, e vale la pena di riscoprirli.

Per farlo, French usa gli strumenti del giornalista d’esperienza: ci racconta posti, atmosfere e spesso va alla ricerca delle vestigia di quel passato o dei monumenti che lo ricordano. Nella sua carriera ha visitato decine di paesi africani e non, prima da studente, poi da corrispondente e infine per le ricerche di questo libro.

Ma l’autore attinge anche a una grande quantità di saggi e romanzi di carattere storico per descrivere dinamiche della storia mondiale poco conosciute ai più, con uno stile semplice, diretto e piacevole. Tra questi saggi alcuni sono stati recentemente pubblicati in italiano, come Per un pugno di conchiglie di Toby Green (Einaudi 2022) o Storia della schiavitù in Africa di Paul Lovejoy (Bompiani 2019).

Dalla leggenda

La prima immagine che rimanda ai rapporti tra Africa ed Europa è un dettaglio dell’Atlante catalano, una mappa disegnata intorno al 1375 dalla scuola di cartografia di Maiorca, e attribuita ad Abraham Cresques e al figlio. In questa raffigurazione del mondo conosciuto all’epoca, nell’entroterra africano siede un re nero, che tiene in mano un globo d’oro e uno scettro. Il riferimento è a Mansa Musa, sovrano dell’impero del Mali, che passò alle cronache per il suo viaggio del 1324 alla volta del Cairo e, successivamente, alla Mecca, accompagnato da un seguito grandioso e da una tale quantità d’oro (si stimano 18 tonnellate) da guadagnarsi la reputazione di uomo più ricco della storia. Questo episodio è stato approfondito anche dall’antropologo e africanista italiano, Marco Aime, nel suo recente saggio La carovana del sultano (Einaudi 2023), con un intento non troppo dissimile da quello di French, cioè dare una lettura nuova e multicentrica della storia, in cui l’Africa assume un ruolo da protagonista.

L’Atlante catalano, attribuito ad Abraham Cresques e a suo figlio Jehuda, 1375 circa. (Bibliothèque nationale de France/Wikipedia)

La leggenda del ricchissimo re del Mali arrivò quindi oltre il mare, osserva French, si sedimentò nell’immaginario europeo, mettendo in moto una serie di dinamiche. La prima cosa che attirò le navi europee, in primis quelle portoghesi, in Africa fu l’oro, il mitico oro del Mali. Che in realtà fu trovato nell’attuale Ghana, dove i portoghesi in breve tempo costruirono l’avamposto di Elmina, che avrebbe svolto “un ruolo cardine nel nascente progetto globale di Lisbona”. L’oro permise al Portogallo di crescere e prosperare, e “fece raddoppiare le rendite reali negli ultimi vent’anni del XV secolo”.

“Per quanto incisiva, la scoperta dell’oro africano da parte del Portogallo sarebbe stata solo la prima di una serie di vittorie straordinarie”, continua l’autore. “Il metallo venne prima rimpiazzato dal nuovo commercio di schiavi africani, altamente remunerativo, e poi dall’aumento della produzione dello zucchero sulle isole di fronte al continente africano”.

Tra queste isole – preferite dai colonizzatori alla più insidiosa terraferma – São Tomé occupa un posto particolare nella narrazione, perché ospitò un esperimento innovativo nella produzione di zucchero da commercializzare in Europa, mettendo le basi di quell’economia basata sulle piantagioni che successivamente fu portata anche nelle Americhe e, in particolare, nei Caraibi.

Resistenze e rapporti paritari

Tenendo fede all’obiettivo di raccontare la storia da un punto di vista alternativo, French non rende conto solo sullo sfruttamento delle terre e delle braccia africane, ma mette in rilievo anche i tentativi di resistenza delle popolazioni locali, le ribellioni, le vittorie dei regni e dei popoli africani, che in alcuni casi potevano vantare un livello di sviluppo sociale paragonabile a quello degli europei. Per gli schiavi caricati in catene sulle navi dirette oltre l’Atlantico, resistenza significò organizzare rivolte o suicidarsi in massa, per sottrarsi al proprio destino.

Un’altra storia su cui l’autore si sofferma è quella dei rapporti intrattenuti dalla corona portoghese con il regno del Congo (nell’attuale Angola). In un’intervista ad Africa is a country, French racconta di averla sentita per la prima volta quando, da giornalista, visitò lo Zaire di Mobutu, e di essersene subito appassionato. La riassume così: “I portoghesi arrivarono nel regno del Congo pochi anni dopo Elmina. Appena sbarcati, si resero conto che condividevano con le popolazioni locali il simbolo religioso della croce. Su questa base, i congolesi furono abbastanza incuriositi da essere iniziati al cristianesimo. I portoghesi portarono in Europa alcuni di loro e visitarono la capitale di quel regno, Mbanza Kongo. Presto si stabilirono relazioni diplomatiche. I reali congolesi impararono il portoghese e inviarono i loro figli e quelli della nobiltà a scuola in Europa”. Il regno africano stabilì relazioni strette soprattutto con il Vaticano: a Roma si trovano le spoglie di Emanuele Ne Vunda, diplomatico congolese morto di malattia nel 1608, e poi sepolto con tutti gli onori nella chiesa di Santa Maria Maggiore. È una testimonianza di quei legami tra africani ed europei, che sono stati indagati anche dalla storica Olivette Otele nel suo saggio Africani europei (Einaudi 2021).

Oltre la finzione

Nuove voci e versioni “decolonizzate” della storia finora erano emerse soprattutto nelle opere di narrativa, aprendo squarci su episodi del passato rimasti a lungo nel dimenticatoio. Penso alla resistenza delle etiopi raccontata nel Re ombra di Maaza Mengiste o al lungo viaggio dei portatori di David Livingstone per consegnare la salma del “dottore” agli inglesi narrato da Petina Gappah in Oltre le tenebre. Alle vivide descrizioni delle violenze inflitte, patite dai prigionieri nelle fortezze sulla costa degli schiavi fatte da Yaa Gyasi in Non dimenticare chi sei o a quelle del mitico impero bambara di Maryse Condé, i cui personaggi viaggiano da una parte all’altra dell’Atlantico nei due volumi della saga di Segù. Sono tutti libri che, pur essendo di finzione, hanno preso spunto dalla realtà, cercando di ricostruire con fedeltà le atmosfere e i rapporti umani di quelle epoche.

Grazie agli sforzi di narratori e narratrici, alle ricerche degli studiosi e anche ai libri di bravi divulgatori come French, possiamo chiederci se finalmente riusciremo a lasciarci alle spalle un racconto della storia eurocentrico e che ha ancora alla base pregiudizi o idee estremamente pericolosi e falsi, come quello della presunta superiorità dei bianchi sui neri, sull’idea che l’Africa sia un continente “senza storia” o che gli europei avessero una missione civilizzatrice da compiere quando crearono i loro imperi nel mondo. Fare i conti con il passato ci sarebbe estremamente utile per affrontare meglio il complicato mondo di oggi.

Howard French sarà ospite del prossimo festival di Internazionale a Ferrara, in programma dal 29 settembre al 1 ottobre 2023, dove presenterà il libro e parlerà di megalopoli. Internazionale ha una newsletter che racconta cosa succede in Africa. Ci si iscrive qui.

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