12 dicembre 2016 18:00

Il tribunale militare ultraprotetto si trova in territorio palestinese, ma in una zona annessa di fatto da Israele. Il 6 dicembre mentre andavo verso il tribunale ho visto un uomo in piedi e un altro più giovane seduto su una sedia di plastica vicino al checkpoint dell’esercito. È lì che aspettano i palestinesi convocati dai servizi segreti israeliani. “La notte scorsa i soldati sono entrati in casa, hanno buttato tutto all’aria e mi hanno ordinato di venire qui con mio figlio, che lavora in un allevamento di polli vicino a Ramallah”, mi ha detto l’uomo.

L’accusato non è potuto entrare nella sala del tribunale (che è una roulotte). Era appena arrivato dalla clinica della prigione su una barella troppo grande per passare attraverso la porta. Ha 14 anni. Un soldato gli ha sparato perché gli avrebbe tirato un coltello. Il ragazzo era disteso fuori dalla roulotte, in preda al panico, mentre l’avvocato (israeliano) sosteneva che gli avevano sparato alle spalle. Io e l’avvocato abbiamo poi raggiunto il luogo della sparatoria, 45 chilometri più a sud. Due ore dopo mi ha accompagnata al checkpoint di Qalandia. Un minibus e poi un taxi mi hanno riportato alla mia auto, sei ore dopo averla parcheggiata.

Mentre camminavo verso la macchina ho visto di nuovo l’uomo e il ragazzo. Avevano aspettato cinque ore prima di parlare con un funzionario israeliano. “Si è limitato a urlare e a insultare mio figlio”, mi ha detto il padre. Si è scusato per la fretta: suo figlio aveva fame.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata l’8 dicembre 2016 a pagina 33 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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