14 novembre 2016 11:56

“C’è qualcosa – una cosa qualsiasi – che sai fare bene?”. Mi è capitato di porre questa domanda, a volte, nel corso di un colloquio di lavoro. O, più spesso, chiacchierando con uno studente in cerca di suggerimenti per il futuro.

La domanda è in apparenza semplice. Dice “qualsiasi cosa” e dice “bene”, non “meglio di chiunque altro”. Eppure le persone di norma fanno fatica a rispondere. Forse temono di sembrare vanagloriose. O forse semplicemente non pensano a se stesse in questi termini, e non si sono mai poste una domanda del genere. Eppure sono convinta che avere un’idea di quel che si sa fare bene sia importante, fosse anche una cosa quotidiana come cucinare con gli avanzi, frivola come fischiare in modo melodioso, immateriale come saper chiacchierare con i bimbi piccoli, o saper ricordare, da svegli, i propri sogni.

Uno spot di qualche tempo fa, assai divertente, si conclude con la frase: everyone is legendary at something, ognuno è leggendario in qualcosa. Dev’essere stato interessante mettere insieme il cast: “Lei in che cos’è leggendario? Mah, io so alzare un sopracciglio come nessun altro”.

Tra sapere e saper fare (e saper essere) si gioca un bel po’ della formazione scolastica. In teoria, temo, più che in pratica. Ma, almeno, oggi se ne parla. Ai miei tempi, neanche quello. Al mio primo colloquio di lavoro – avevo 19 anni – mi sono presentata con una cartella di disegni. Non erano granché, anche se ne andavo molto orgogliosa perché disegnare mi piace. “Vabbè, ma come te la cavi a scrivere?”, mi hanno chiesto. Sono rimasta sconcertata: in precedenza, non avevo mai tenuto un diario o scritto una poesia. E, credo, nemmeno una lunga lettera: solo i temi del liceo. Avevo sempre pensato alla scrittura come a una necessaria pratica scolastica. Per questo ho risposto “boh, prendo buoni voti”.

Sapere di essere bravi a fare qualcosa ci aiuta ad accettare il fatto di non esserlo per niente a farne molte altre

Così, con un boh, è cominciato il mio lavoro dei quarant’anni successivi.
Con il tempo ho imparato a cercare di rendermi conto di quel che mi riesce bene, e del fatto che non necessariamente coincide con quel che mi piace fare. Per esempio: il disegno resterà un piacevole hobby, e null’altro. E non imparerò mai a fischiare in modo melodioso.

Ma con i bambini riesco a cavarmela alla grande inventando storie a partire da qualcosa che c’è lì attorno. E se c’è una stanza da organizzare e mettere in ordine, sono brava. Aggiungo che la scrittura, il raccontare storie e il mettere in ordine stanze sono collegati, perché anche un testo va ordinato e organizzato, e anche una stanza è, a suo modo, una narrazione.

Sapere che siamo bravi a fare qualcosa ci aiuta ad accettare il fatto di non essere per niente bravi a farne molte altre. E, cosa più importante, ci dice quali altre cose simili, o analoghe, potremmo riuscire a fare altrettanto bene. O, magari, straordinariamente bene. Infine, ci aiuta a capire se, tra le cose che ci piace fare, ce n’è qualcuna che sappiamo anche far bene.

Noi esseri umani facciamo fatica a riconoscere le nostre capacità come tali, dice Business Insider. E aggiunge alcuni suggerimenti interessanti. Il primo è: scrivi tutto quel che sai fare su una serie di foglietti, comprese le cose che ti sembrano irrilevanti perché ti vengono facili. Non è per niente detto che siano facili per tutti.

Non diventate mai bravi a fare qualcosa che detestate, o vi ci ritroverete intrappolati

Il secondo suggerimento è: cerca gli schemi, perché è più che probabile che alcune capacità siano correlate. E, infine, raggruppa le capacità in: cose che ti piace fare, cose per fare le quali puoi farti pagare, cose che vuoi saper fare meglio, cose che non fai più da molto tempo.

Il terzo suggerimento è: se nessuna delle capacità che hai elencato c’entra con il tuo lavoro attuale, facci un pensiero. Se invece non ti è venuta in mente neanche mezza capacità, telefona a un amico e domandagli: che cosa sono bravo a fare?

Il risultato di questo esercizio dovrebbe essere un di più di speranza e di consapevolezza. Se funziona, non è niente male.

Un Wikihow elementare e forse troppo ottimista ma magari non inutile, dice come trasformare quel che si sa fare, e che piace, in un lavoro. Studiando e migliorando le proprie capacità. E cominciando dalle piccole cose. Cercando opportunità, anche gratuite: su quest’ultimo punto non sono molto d’accordo, anche se, per un tempo limitato, un po’ (ho scritto un po’!) di lavoro gratuito in cambio di un buon apprendistato ci può stare.

Infine: non diventate mai bravi a fare qualcosa che detestate, o vi ci ritroverete intrappolati. Questo è il succo della storia che Jonathan Odell, ex imprenditore infelicemente di successo, racconta su Publishers Weekly.

L’Atlantic espande il concetto con un lungo articolo assai argomentato. Le tre cose che rendono felici le persone sono: avere relazioni sociali ricche di significato, far bene le cose, poter prendere liberamente decisioni. Conviene pensare che in realtà il mondo abbonda di opportunità, anche se la logica capitalistica e imprenditoriale, fondata sulla scarsità, sulla competizione e sulla gerarchizzazione, si regge e prospera su una percezione opposta.

E rieccoci al punto: “C’è qualcosa – una cosa qualsiasi – che sai fare bene?”.

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