04 aprile 2014 07:00

In Afghanistan i diritti delle donne hanno fatto qualche piccolo passo avanti, e oggi alcune di loro sono commissarie di polizia mentre altre sono state elette in parlamento. Domani il paese sceglierà il suo presidente, e anche se in realtà le donne restano cittadine di seconda classe, negli ultimi tredici anni (da quando la Nato ha cacciato i taliban dopo gli attentati dell’11 settembre) in Afghanistan ha soffiato un leggero vento di modernità.

Le città si sono sviluppate, e parallelamente è emersa una nuova classe media urbana giovane e dinamica. Nel 2004 e nel 2009 in Afghanistan si sono svolte due elezioni presidenziali. Tra il primo e il secondo scrutinio si è registrato un calo dell’affluenza e un aumento dei brogli, ma in ogni caso il voto ha sancito la nascita di una vita politica nazionale, tanto che oggi i quattro quinti della popolazione afgana si fidano più delle istituzioni che dei taliban.

Oggi non possiamo dire che niente è cambiato e che i miliardi di dollari investiti nel paese e il sacrificio dei soldati che hanno perso la vita siano stati inutili. Ma non possiamo nemmeno dire che l’intervento militare, accolto con grandi speranze dagli afgani, sia stato un successo.

Subito dopo l’invasione, infatti, gli Stati Uniti hanno concentrato sull’Iraq i mezzi e le truppe che avrebbero dovuto dedicare all’Afghanistan, e i taliban ne hanno approfittato per riconquistare intere regioni e colpire il centro di Kabul. La corruzione e lo storno degli aiuti internazionali sono diventati (e sono ancora) endemici. La coltivazione del papavero si è diffusa ulteriormente e ha arricchito potenti bande di narcotrafficanti che godono di appoggi politici e invadono il mondo attraverso l’Iran. Per quanto i passi avanti siano stati concreti, sono anche molto relativi e fragili, e a otto mesi dal ritiro delle truppe straniere l’Afghanistan resta l’oggetto delle rivalità tra gli stati vicini: l’Iran ha una grande influenza, l’India avanza sul versante politico ed economico e il Pakistan continua a considerare il paese come un suo cortile e manipola i taliban, armandoli e finanziandoli per aumentare il proprio potere su Kabul.

Povero e diviso, l’Afghanistan rischia di sprofondare nuovamente nel caos appena tornerà indipendente, ma ciononostante tutti vogliono andarsene da un paese troppo impegnativo, pericoloso e logorante. Il presidente uscente Hamid Karzai ha rifiutato di firmare l’accordo che permetterebbe agli Stati Uniti di mantenere diecimila soldati sul campo. Installato da Washington, Karzai è arrivato a odiare gli americani perché non sopporta la loro alleanza con il Pakistan e il fatto che dettino legge a Kabul.

Dalle regioni montuose le urne arriveranno nella capitale a dorso d’asino, e ci vorranno sei settimane per conoscere il risultato del primo turno. Se ci sarà un ballottaggio la transizione durerà fino all’estate. Comunque vada a finire, è evidente che l’Afghanistan non è ancora guarito, ed è dal suo futuro che dipende la stabilità del sudovest asiatico.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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