02 novembre 2015 09:18

La vittoria schiacciante di Recep Tayyip Erdoğan è una buona notizia per la stabilità del Medio Oriente, ma di sicuro non lo è per la Turchia. Dopo aver perso a giugno la maggioranza assoluta che conservava da 13 anni, il presidente turco e il suo partito conservatore e islamico, Akp, l’hanno riconquistata ieri. Erdoğan e i suoi potranno dunque disporre di 316 seggi su 550 e di conseguenza continueranno a governare in autonomia. Ma cosa ha provocato questa inversione di rotta tra gli elettori?

La risposta è scontata: la paura del caos. È su questo sentimento, infatti, che Erdoğan ha puntato negli ultimi mesi. Il presidente turco ha fatto di tutto per rendere impossibile la costituzione di un governo di coalizione con uno dei tre partiti d’opposizione.

Il voto di domenica rassicura le grandi capitali, ma Erdoğan mostra comunque una deriva megalomane

Il messaggio dell’Akp è stato chiarissimo: senza di noi non esiste alcuna maggioranza e la Turchia non è governabile. Il tracollo della regione ha fatto il resto. Giorno dopo giorno i turchi hanno visto la vicina Siria annegare nel sangue e migliaia di profughi entrare nel loro paese che già ne ospitava più di due milioni. A questo si sono aggiunti i due attentati devastanti sul suolo turco e la ripresa delle ostilità contro il Pkk (l’organizzazione armata che rappresenta la minoranza curda) voluta da Erdoğan per riattizzare il nazionalismo e la paura di una nuova guerra civile.

La Turchia ha avuto paura ed è per questo che i suoi cittadini si sono riversati in massa alle urne, smentendo i sondaggi che fino all’ultimo annunciavano una nuova sconfitta dell’Akp.

Un interlocutore per la gestione dei profughi

Cinicamente possiamo dire che la vittoria di Erdoğan è un bene per il Medio Oriente, perché l’ultima cosa di cui la regione ha bisogno è un’esplosione dell’instabilità in Turchia. Se il voto di domenica si fosse concluso con gli stessi risultati di giugno, infatti, Erdoğan avrebbe dovuto accettare un governo di coalizione e probabilmente non avrebbe smesso di ostacolare questa coabitazione per preparare la sua rivincita.

L’esecutivo sarebbe stato pesantemente indebolito da questo attacco, andando incontro alla paralisi. L’Unione europea, che attualmente sta negoziando un accordo con Ankara per frenare il flusso di profughi, non avrebbe avuto più alcun interlocutore. Peggio ancora, la ricerca di un compromesso regionale sulla Siria sarebbe stata complicata da una situazione instabile in Turchia.

In altre parole il voto di domenica rassicura le grandi capitali, ma resta il fatto che Erdoğan mostra una deriva sempre più megalomane. Il presidente turco si sta trasformando in un dittatore e non ha esitato, in piena campagna elettorale, a chiudere i giornali e le televisioni che lo avevano criticato, spaccando in due il suo paese. Lo slancio che trarrà da questa vittoria non lascia presagire niente di buono proprio quando la Turchia avrebbe un grande bisogno di ritrovare la via del dialogo con i curdi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it