11 dicembre 2015 09:22

Ci sono volute due settimane di preparazione e due giorni di discussioni, ma alla fine l’intesa è arrivata. Il 10 dicembre, a Riyadh, l’insieme delle forze d’opposizione siriane ha trovato un accordo sul programma comune e sulla delegazione che dovrà difenderlo durante il negoziato con il regime per la creazione di istituzioni di transizione e la proclamazione di un cessate il fuoco sotto la tutela della comunità internazionale.

La delegazione era composta da 52 persone, cristiani, alauiti (la stessa comunità a cui appartiene il clan Assad) sunniti (il 60 per cento della popolazione) rappresentanti dei 16 gruppi armati e curdi. Il gruppo ha parlato a nome di tutta la nazione e non solo delle organizzazioni armate per evitare qualsiasi obiezione da parte della Turchia.

Secondo l’accordo la Siria diventerà uno ‘stato civile’ né religioso né militare, pluralista e rispettoso di tutte le comunità

A Riyadh c’erano islamisti e laici, rappresentanti dell’opposizione tollerata dal regime e ribelli che combattono il regime sul campo, e tutti si sono messi d’accordo per definire il futuro della Siria come “stato civile” né religioso né militare, pluralista e rispettoso di tutte le comunità, dei diritti umani e dello stato di diritto. Per uno dei gruppi islamisti, Ahrar al Sham, questa posizione era fin troppo compromettente, tanto che si è ritirato dalle discussioni salvo tornare sui suoi passi nella notte per paura di ritrovarsi emarginato.

Si tratta solo della prima tappa verso un accodo di pace, ma è una tappa importante perché l’opposizione è ormai nelle condizioni di avviare con il clan Assad quei negoziati che la conferenza di Ginevra aveva richiesto fin dal giugno 2012.

Questi negoziati sono diventati il primo obiettivo della road map adottata il 14 novembre a Vienna dall’Iran sciita, dai paesi sunniti, dagli statunitensi, dai russi e dagli europei. La trattativa dovrebbe portare a cambiamenti costituzionali, a un cessate il fuoco e a uno scrutinio presidenziale a cui dovrebbero partecipare i quattro milioni di esuli siriani che evidentemente non stanno dalla parte di Bashar al Assad.

In ogni caso l’attuale presidente dovrà cedere gran parte dei suoi poteri, a cominciare da quelli militari e di polizia, alle autorità di transizione che saranno insediate. È quello che aveva previsto la conferenza di Ginevra a cui avevano partecipato anche i russi, ed è quello che l’opposizione ormai unita ha ribadito nella dichiarazione di ieri, sottolineando che “Bashar al Assad e la sua cricca dovranno lasciare il potere all’inizio della fase di transizione”.

La formula è volontariamente ambigua, perché può voler significare le dimissioni o la cessione del potere. La decisione finale arriverà dal negoziato internazionale che si svolgerà oggi a Ginevra e tra una settimana a New York.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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