05 febbraio 2016 09:19

È un’ipotesi verosimile, per di più confortata dai sondaggi. A prescindere dalle concessioni e dai cambiamenti che i leader europei adotteranno per permettere a David Cameron di dire ai suoi elettori di aver ottenuto le riforme richieste per confermare l’adesione del Regno Unito all’Unione, non è impossibile che gli eurofobi abbiano la meglio in occasione del referendum del 23 giugno.

Se ciò accadesse, una delle tre principali potenze europee abbandonerebbe il progetto unitario, provocando un sisma tanto più violento se consideriamo che parliamo di uno sviluppo senza precedenti. Ma cosa può accadere concretamente?

Secondo uno dei leader europei più informati, la risposta è “niente”, o quantomeno niente di immediato.

Innanzitutto, fino a quando i britannici non si saranno pronunciati sarebbe controproducente avanzare la minima idea per rilanciare l’Unione dopo l’eventuale uscita di Londra, perché significherebbe rafforzare gli eurofobi, che accuserebbero i leader europei di voler trasformare l’eurozona in un’unione politica che detterebbe legge all’interno del progetto europeo e sosterrebbero che l’unico modo di sfuggire al federalismo è rompere definitivamente.

Il processo di uscita sarebbe talmente pieno di insidie da smorzare il rischio di contagio in altri stati

Questo non farebbe che complicare il compito di David Cameron e degli europeisti britannici, a cui in questo momento bisogna lasciare la libertà di sostenere che il Regno Unito avrebbe troppo da perdere uscendo dall’Unione e soprattutto rischierebbe di vedere la Scozia proclamare la sua indipendenza, perché gli scozzesi non intendono seguire gli inglesi nella loro avventura.

Ma se alla fine vincessero gli eurofobi? In quel caso, dicono, ci sarebbe comunque il tempo di valutare le conseguenze, perché Londra dovrebbe affrontare il problema scozzese, trovare un nuovo posto nel mondo e modificare (cosa non semplice) tutte le leggi che sono legate all’adesione all’Unione.

Questo processo sarebbe talmente pieno di insidie da smorzare il rischio di contagio in altri stati. Anche per questo, Brexit o non Brexit, Francia e Germania aspetterebbero comunque l’estate successiva per avanzare le loro proposte per il rafforzamento dell’eurozona attraverso l’armonizzazione progressiva delle sue politiche fiscali e sociali, la nomina di un ministro dell’economia dell’eurozona e la creazione di una camera specifica all’interno del parlamento europeo. Infine bisogna tenere conto che le azioni concrete spetteranno alle maggioranze uscite dalle elezioni francesi e tedesche del 2017.

Sulla carta il ragionamento è perfettamente lineare, ma il problema è che nel frattempo lo spazio Schengen potrebbe essere solo un ricordo e le tensioni all’interno dell’Unione saranno all’apice, tanto che l’uscita britannica potrebbe trasformarsi nell’ultimo chiodo sulla bara dell’Europa unita. La fretta non è mai positiva, ma anche la calma olimpica ha i suoi pericoli.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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