30 giugno 2016 15:58

In questi giorni sta finendo l’anno di prova per quei docenti – sono varie decine di migliaia – assunti lo scorso autunno: un po’ sono i vincitori del concorso 2012 ma entrati di ruolo solo quest’anno; la maggior parte è stata reclutata attraverso la legge della Buona scuola, con la qualifica di “organico di potenziamento” (quella categoria ibrida che è stata usata per i professori perennemente disponibili a esaudire le richieste delle preside – supplenze, corsi di recupero – o a compensare le carenze di personale della scuola).

Alla fine dell’anno di prova c’è un esame, un colloquio orale, da sostenere di fronte al comitato di valutazione – anche questa una discutibile invenzione della Buona scuola. La preside più altri docenti analizzano il lavoro dell’insegnante nell’anno di prova a partire dal report che ha scritto sulla piattaforma online del ministero dell’istruzione chiamata Indire. Di fatto, l’anno di prova è consistito dunque in un minicorso di formazione, nel confronto con il tutor, nella compilazione della piattaforma Indire, e infine nell’esame.

Quali elementi se ne possono trarre, senza voler essere ogni volta polemici e disfattisti? Che questa formazione per formatori va ripensata, nel merito e nel metodo.

Formatori improvvisati

Il primo aspetto da migliorare, in modo serio, è la qualità dei corsi di formazione per docenti, il cui valore è totalmente casuale. Questi minicorsi di formazione sono tenuti da insegnanti che dovrebbero avere una particolare esperienza didattica in una certa area – per esempio nella didattica digitale, o nella formazione degli studenti con disabilità. Spesso non è così: i formatori dei formatori alle volte sono preparati, alle volte sono indegnamente improvvisati.

Così può capitare di assistere a lezioni sui disturbi specifici dell’apprendimento (dsa) tenute da docenti con una certa praticaccia scolastica ma senza la minima nozione di psicologia; oppure a lunghissimi sproloqui dei coordinatori dell’anno di prova pieni di tante buone intenzioni quanto di luoghi comuni.

Linguaggio burocratico

Il secondo aspetto da rivedere in maniera strutturale è la piattaforma Indire: il report che ogni insegnante in formazione doveva compilare finisce con l’essere un capolavoro di un nuovo genere di “scolastichese”.

Chi ha seguito i corsi della Ssis o dei Tfa (i corsi di specializzazione per docenti) ha molto probabilmente appreso una dimestichezza quasi tutta formale con la progettazione didattica per competenze – ha imparato a scrivere in automatico frasi del tipo

con l’obiettivo di rispondere all’esigenza di assicurare omogeneità tra le attività formative erogate dai diversi organismi su tutto il plesso scolastico, garantendo al contempo il rispetto delle esigenze di autonomia degli attori locali, sia in termini di programmazione dell’offerta formativa, sia in termini di progettazione formativa, al fine di compensare le limitazioni legate alla passività dei discenti

e a essere validato (sic!).

Assenti la psicologia e la pedagogia

La terza carenza grave è la mancanza di una seria formazione pedagogica e psicologica. Gli insegnanti si trovano spesso a giostrarsi con disinvoltura con qualche ultima moda didattica – per esempio negli ultimi tempi va molto la flipped classroom – ignorando totalmente la storia della pedagogia, il rapporto tra pedagogia e le altre discipline, il valore politico di determinate ideologie educative.

Allo stesso modo è una lacuna sempre più evidente la goffaggine, il dilettantismo di gran parte degli insegnanti rispetto alla psicanalisi o le neuroscienze e a tutto quell’ambito teorico che dovrebbe sostenere un intervento sui ragazzi con quelli che si chiamano disturbi dell’apprendimento, o anche semplicemente con gli immaginabili problemi psicologici legati alla pubertà o all’adolescenza.

Così accade che tutto l’intervento dei docenti in una fase di crescita sia semplicemente dispensativo o compensativo, e che quindi possa al massimo cercare di limitare gli effetti specifici di una certa difficoltà degli studenti, e si interroghi quasi mai sulle cause di queste difficoltà.

Dimenticate le lingue straniere

Il quarto aspetto riguarda la formazione al Clil – ossia all’insegnamento di materie curricolari in lingua straniera. Anche quest’anno – nei minicorsi di formazione – spesso gli insegnanti sono stati formati alla metodologia del Clil, senza però avere un’adeguata conoscenza dell’inglese o del francese. Capita così non di rado che nelle scuole italiane siano insegnate materie in una lingua straniera da docenti che fanno errori di grammatica e di pronuncia gravi e che sanno le lingue anche peggio di alcuni loro studenti. Anche qui, dovrebbe essere considerato come obiettivo prioritario la formazione in lingue straniere dei docenti – e questo può avvenire attraverso corsi gratuiti e obbligatori per esempio – piuttosto che una grande retorica sulle metodologie didattiche.

Una bibliografia inadeguata

Il quinto aspetto da migliorare facilmente in un programma di formazione è quello di fornire una bibliografia. Sulla piattaforma Indire si trovano alla voce materiali molti documenti ma presentati in modo eterogeneo, senza una gerarchia chiara degli studi, e soprattutto centrati su problematiche specifiche della didattica e non abbastanza validi per il dibattito generale, teorico, storico e internazionale, su una cosa così importante come l’educazione dei cittadini futuri.

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