11 marzo 2016 20:00

Weekend è un film inatteso ma bello sul tempo, colto nel fluttuare del presente più prosaico della quotidianità. Tratta con grande delicatezza i temi del bisogno di amore e della paura per le relazioni stabili. Un flusso, a tratti sottilmente onirico, che è l’anatomia di uno stato della condizione umana dallo stile quasi rapsodico.

Una camera mobile ma non fastidiosa, segue due giovani omosessuali che si sono incontrati in un locale gay. Inquadra il loro desiderio, la paura che il desiderio diventi amore, e assieme il desiderio che invece diventi amore, la paura che l’amore diventi impegno dell’uno verso l’altro e quindi conformismo borghese con le sue falsità e ipocrisie, ma anche la paura che l’amore diventi sofferenza: nei due protagonisti si scontrano e incontrano le ambivalenze di molti di noi.

Teodora Film, sull’onda del grande successo del terzo lavoro di Andrew Haigh, 45 anni, propone la sua seconda opera, vincitrice di molti premi, ma girata in poche settimane e con budget ridottissimo e di cui Haigh firma la regia, la sceneggiatura e il montaggio.

Coppia esplosiva

Se 45 anni disseccava i meccanismi dell’ipocrisia nel rapporto coniugale borghese e al contempo il desiderio di amore rimasto congelato nel tempo anche grazie ai superlativi protagonisti, Charlotte Rampling e Tom Courtnay, in Weekend qualcosa di simile è proposto al rovescio.

In Weekend la coppia è gay invece che etero, tutto esplode in molto meno di 45 anni, in un solo fine settimana appunto, e quanto rimane è bello, forse perfino l’assenza di coraggio e l’egoismo, al contrario dell’angoscia di scoprire che non si conosce chi si è avuto accanto per tutta una vita.

Infine la camera, che in 45 anni è statica, congelata, in Weekend è quasi sempre in movimento. Questo perché siamo ancora nel movimento della vita. La vita ha ancora una possibilità sembra volerci dire Haigh, anche se siamo di fronte a un fine e implacabile entomologo dietro le apparenze leggere: con poche battute fa a pezzi o sbeffeggia la vacuità degli amici o anche di certi film britannici che potremmo definire accademici, come Camera con vista di James Ivory, o ancora commedie commerciali, come Quattro matrimoni e un funerale di Mike Newell, che nella loro leggerezza sono l’esatto opposto di Weekend, anche se parzialmente contigue sul piano tematico.

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Il film alterna sequenze dove la camera è in movimento a belle immagini statiche degli ambienti, come i palazzi di cemento dove vive uno dei due ragazzi, mentre l’altro li rifugge perché ha paura di finirci cementificato. A volte i personaggi s’intravedono da uno scorcio, un interstizio: bisogna restare nascosti, si ha ancora paura di vivere pubblicamente le proprie tenerezze amorose nella loro fisicità (innumerevoli nel film) e si ha ancora timore dei commenti sprezzanti sui gay da parte di giovani che trovano normale esprimerli, quei commenti. Ma molto spesso la sapiente regia di Haigh li rappresenta come un ronzio, un rumore di fondo continuo, profondamente offensivo quanto opprimente.

Anche se con qualche momento di quiete, siamo trascinati in una successione abbastanza vorticosa di minuti sketch quotidiani, dove spesso si parla del nulla in un crescendo d’intensità e di espressione degli stati d’animo. I due notevoli giovani protagonisti danno vita a un tour de force: non si dubita un momento dell’autenticità delle interpretazioni di Tom Cullen e di Chris New. Speriamo solo che il doppiaggio italiano, sempre più monocorde e anche per questo sempre più un problema, non le appiattisca.

Parole d’amore

Non si capisce cosa possa volere la Conferenza episcopale italiana, che ha duramente attaccato questo film. Eppure all’interno della chiesa ci sono persone di ampie vedute. Del resto alla chiesa castigatrice e di potere, la rappresentazione della naturalezza dell’amore e dell’essere umano, nella sua verità e fragilità, ha sempre fatto paura, perché abbatte le bandiere del pregiudizio.

Fa capire agli eterosessuali che anche il parlare di sesso e di amore omosessuale può essere un’esperienza di conoscenza, e toglie forse ai gay dei complessi che di fatto non dovrebbero avere. Grazie a questi due attori straordinari e all’intelligenza di Haigh, che riesce a costruire immagini e situazioni potenti con semplicità, con la scena di tenera riconciliazione alla finestra dopo il litigio, abbiamo una delle più belle e poetiche scene d’amore viste al cinema negli ultimi anni.

È difficile, infine, non voler bene ai due protagonisti: sarebbe un po’ come non voler bene a noi stessi, a prescindere dall’orientamento sessuale. Questo è un film d’amore che senza far melassa chiede amore.

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