07 gennaio 2016 09:56

È passato un anno dagli attacchi contro la redazione di Charlie Hebdo e il supermercato kosher, e la Francia che in questi giorni rende omaggio alle 17 vittime dei fratelli Kouachi e di Amedy Coulibaly è parecchio cambiata rispetto alla mattina del 7 gennaio 2015.

Al posto del paese fiero, depresso e brontolone sul quale i giornali anglosassoni amano infierire e versare fiumi d’inchiostro e un po’ di fiele c’è una nazione scossa, impaurita, rabbiosa e più chiusa. Un paese in guerra, come ha ribadito il presidente François Hollande nel suo discorso alle camere riunite all’indomani degli attentati del 13 novembre 2015. Un paese che si sta abituando quasi senza accorgersene alla nuova normalità, inaugurata dallo stato di emergenza decretato subito dopo gli attentati di Parigi e prorogato fino al 26 febbraio. Una nuova normalità all’insegna di meno libertà, meno uguaglianza e meno fraternità.

Il governo socialista ha adottato misure di sorveglianza restrittive per non lasciare alla destra il monopolio della sicurezza

La risposta dei cittadini agli attacchi contro Charlie Hebdo era stata la solidarietà: colpita in alcuni dei suoi valori fondamentali, la Francia aveva reagito stringendosi intorno ai superstiti e ribadendo il suo attaccamento alla libertà di espressione e alla laicità. E mentre un po’ ovunque, in particolare intorno alla statua della Repubblica nell’omonima piazza di Parigi, si addobbavano altari laici per commemorare le vittime degli attacchi e riaffermare i valori fondamentali della république, i francesi chiedevano alle autorità più protezione.

Il governo socialista di Manuel Valls, consapevole della vulnerabilità del paese di fronte al terrorismo, deciso a non lasciare alla destra il “monopolio della sicurezza” e a non farsi accusare di “lassismo”, ha adottato una serie di misure volte a rafforzare i poteri di sorveglianza e di repressione, tra cui una nuova legge sull’intelligence per certi aspetti più restrittiva del Patriot act introdotto negli Stati Uniti dopo l’11 settembre.

La reazione di Parigi alla crisi dei profughi e all’arrivo di moltissimi rifugiati in Europa è stata all’insegna di questa svolta: la Francia è stata tra i primi paesi a ripristinare i controlli alle frontiere per tentare di bloccare l’afflusso di migranti provenienti in particolare dall’Italia. Secondo l’autorità nazionale per i rifugiati nel 2015 il numero dei richiedenti asilo è stato “tra i 75mila e gli 80mila”, molto meno del milione di persone arrivate nella vicina Germania.

Colpo fatale a Schengen

L’adozione di nuove misure di sicurezza e repressione non ha però impedito che lo scenario più temuto dalle autorità si verificasse il 13 novembre a Parigi: una serie coordinata di attacchi in diversi punti della città. Gli attentati, compiuti da terroristi affiliati al gruppo Stato islamico (Is), hanno provocato 130 morti e oltre 350 feriti. Questa volta tra l’opinione pubblica non ci sono stati i distinguo che avevano segnato le reazioni all’attacco contro Charlie Hebdo, che alcuni avevano accusato di islamofobia, perché i terroristi hanno colpito in modo indiscriminato dei cittadini inermi. “Sbattuta dalle onde ma non affondata”, come recita il motto di Parigi, la Francia ha ribadito il suo attaccamento alla libertà, ma è tornata a chiedere più protezione.

Dinanzi a un attacco che aveva diversi punti in comune con quello compiuto da Anders Breivik a Oslo e Utøya, la reazione del governo è stata l’opposto di quella del governo norvegese: il premier socialdemocratico Jens Stoltenberg aveva evocato “più democrazia, più apertura e più partecipazione politica”.

La risposta delle autorità francesi invece è andata in direzione contraria, con l’adozione dello stato di emergenza, la cui efficacia in termini di lotta al terrorismo è ancora da dimostrare, e con l’incremento dell’impegno militare contro l’Is in Siria e in Iraq. Con lo stato di emergenza è arrivato anche il ripristino dei controlli alle frontiere e un colpo forse fatale alla libera circolazione dei cittadini all’interno dello spazio Schengen, una delle maggiori conquiste dell’integrazione europea.

Hollande si è ormai circondato di sostenitori della linea dura

Questa forzatura rispetto ai princìpi tradizionali della sinistra non ha impedito all’estrema destra di Marine Le Pen e del Front national di raccogliere nuovi consensi e di confermarsi come primo partito del paese al primo turno delle elezioni regionali di dicembre.

La svolta repressiva del governo ha anche provocato una spaccatura nella sinistra francese, in particolare sulla proposta di legge che toglierebbe la nazionalità francese ai titolari di doppia cittadinanza condannati per terrorismo. Una misura che riguarda pochissimi casi sui 3,3 milioni di francesi che hanno due passaporti (uno francese e l’altro, spesso, di un’ex colonia francese), ma altamente simbolica, poiché va a colpire un altro principio cardine della république: l’uguaglianza tra cittadini.

Un sintomo di questa svolta è il fatto che, come rivela un interessante documentario di Benoît Vitkine sulla reazione del potere agli attentati, Hollande si è ormai circondato di sostenitori della linea dura, come il ministro della difesa Jean-Yves Le Drian e quello dell’interno Bernard Cazeneuve, diventato ospite fisso dell’Eliseo e il più influente tra i ministri. A farne le spese è la ministra della giustizia Christiane Taubira, le cui posizioni garantiste sono diventate minoritarie e che secondo molti non è ancora stata destituita solo perché appartiene a una minoranza etnica ed è praticamente l’ultima esponente dell’ala sinistra del Partito socialista nell’esecutivo.

Lo stato di emergenza dovrebbe finire il 26 febbraio, ma il governo ha presentato un disegno di legge “che rafforza la lotta contro la criminalità organizzata e il suo finanziamento, l’efficacia e le garanzie della procedura penale”. Un dispositivo che punta a dare alle forze dell’ordine poteri simili a quelli di cui dispone durante lo stato di emergenza e che dovrebbe prorogare senza limiti una situazione eccezionale alla quale i francesi si stanno adeguando lentamente e, stando ai sondaggi, abbastanza volentieri.

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