10 marzo 2016 17:55

Il 9 marzo più di duecentomila persone (il doppio secondo gli organizzatori) sono scese in piazza in diverse città francesi (30mila a Parigi secondo la polizia) per protestare contro la riforma del diritto del lavoro presentata dal governo di Manuel Valls.

Il testo prevede, tra le altre cose: una definizione più precisa dei criteri di difficoltà economica che giustificano le ristrutturazioni aziendali (e quindi i licenziamenti per motivi economici); un tetto per il risarcimento in caso di licenziamento abusivo; maggiore flessibilità per le imprese nell’aumento degli orari di lavoro per periodi eccezionali; la contrattazione interna all’impresa (e non più per settore) sulla remunerazione dello straordinario.

I manifestanti, in gran parte legati alle organizzazioni giovanili della sinistra e ad alcuni sindacati, accusano la legge El Khomri, dal nome della trentasettenne ministra del lavoro Myriam El Khomri, di smantellare alcuni diritti acquisiti e di rendere più facili i licenziamenti, se non addirittura di essere stata scritta a quattro mani con il Medef, la confindustria francese. Il governo afferma di voler ridurre la disoccupazione, stabilmente sopra il 10 per cento dal 2012, incoraggiando le aziende ad assumere più lavoratori a tempo indeterminato e a far entrare più giovani sul mercato del lavoro.

Per François Hollande si tratta della partita più importante del suo mandato: riuscire a far passare una riforma del lavoro che produca dei risultati in termini di occupazione in tempo per la campagna per le presidenziali di maggio 2017.

Il capo dello stato sa che, fra tutte le promesse fatte durante la campagna del 2012, è su quella sulla “inversione della curva della disoccupazione” che verrà giudicato il suo quinquennio al potere. Una promessa difficile da mantenere, perché la curva in questione non ha smesso di salire dal 2008 e l’inversione, inizialmente promessa per fine 2013, è stata regolarmente rinviata e le misure adottate in precedenza, come il “contratto di generazione” del 2015, non hanno dato gli effetti sperati.

Molti si chiedono se i francesi non siano ostili per principio alle riforme

Le tensioni intorno alla legge El Khomri sono esemplari del modo in cui le riforme sociali vengono gestite in Francia: il presidente della repubblica detta l’agenda in funzione degli impegni assunti di fronte agli elettori (e dell’eventualità che si presenti per un secondo mandato); il governo elabora un disegno di legge insieme a un gruppo di esperti fidati, ma senza consultare le parti sociali; la riforma viene annunciata senza essere spiegata e le parti sociali insorgono.

Spesso il governo finisce per fare marcia indietro, come il disastroso voltafaccia di Dominique de Villepin sul contratto di prima assunzione (Contrat première embauche) nel 2006. Il fenomeno si riproduce con regolarità ogni volta che viene annunciata una riforma sociale, al punto che molti si chiedono se i francesi non siano ostili per principio alle riforme.

Per gli organizzatori delle manifestazioni del 9 marzo si è trattato più che altro di un ballon d’essai, un’iniziativa realizzata per spingere il governo della gauche a negoziare la riforma con i sindacati anziché portarla avanti da solo, rischiando lo scontro sociale con la sua stessa base. E proprio per dare tempo alla discussione con le parti sociali il governo ha fatto slittare la presentazione della riforma dal 9 al 24 marzo. Valls e Hollande cercano ora di ottenere il sostegno dei sindacati riformisti e di spaccare il fronte sindacale.

L’esempio tedesco

Per il momento a spaccarsi è stata la gauche: da un lato ci sono i sostenitori della riforma, rappresentati dal premier e dal trentottenne ministro dell’economia Emmanuel Macron, che si appellano al pragmatismo e per i quali qualsiasi misura in grado di restituire competitività alle aziende francesi e rilanciare l’occupazione è benvenuta.

Dall’altro ci sono i suoi avversari, che rimproverano al governo di fare una politica non diversa da quella della destra, citando i numerosi sostegni alla riforma venuti da esponenti dell’opposizione, e di voler smantellare il diritto del lavoro sul modello delle riforme avviate dai socialdemocratici in Germania all’inizio degli anni duemila.

La spaccatura all’interno della sinistra è cominciata poco dopo l’avvento al potere di Hollande e si è allargata quando i governi successivi si sono trovati ad affrontare situazioni eccezionali (gli attacchi terroristici di Parigi) o questioni legate alla sicurezza e all’economia come il nucleare o la tassa sugli autotrasporti.

In tutti questi frangenti, la gauche ha dimostrato che la sua pluralità è anche una delle sue principali debolezze. Con l’avvicinarsi della presidenziali di maggio 2017, le tensioni al suo interno dovrebbero aumentare, soprattutto se, come alcuni auspicano, il candidato della sinistra sarà scelto con le primarie.

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