28 novembre 2014 16:09

“Non ci lasceremo spaventare da questi terroristi malati”, ha dichiarato il primo ministro britannico David Cameron dopo che il gruppo Stato islamico ha diffuso il video della decapitazione di alcuni prigionieri siriani da parte di jihadisti stranieri, tra cui ci sarebbero anche dei britannici. “Non ci faremo intimidire”, ha promesso il primo ministro canadese Stephen Harper dopo i recenti attacchi di Montréal e Ottawa. Come se lo scopo degli attacchi terroristici in occidente fosse quello di intimidire.

I leader occidentali ricorrono continuamente a questo genere di retorica, ma Harper si è spinto oltre, dimostrando inavvertitamente quanto sbagliano. “Raddoppieremo i nostri sforzi, collaboreremo con i nostri alleati e combatteremo contro le organizzazioni terroriste che brutalizzano persone di altri paesi nella speranza di portare la loro barbarie sul nostro territorio. Non gli concederemo tregua”. Non vi suona familiare?

Attualmente mezza dozzina di aerei canadesi stanno bombardando le posizioni del gruppo Stato islamico in Iraq , ma Harper ha commesso un grossolano errore di logica. Lo scopo delle azioni terroriste in occidente, dall’11 settembre ai video dello Stato islamico, non è quello di “intimidire” i paesi occidentali ma convincere i loro governi a bombardare i paesi musulmani o, meglio ancora, a invaderli. I terroristi vogliono conquistare il potere negli stati musulmani, non in Canada o nel Regno Unito. In questo senso il modo migliore di affermare le proprie credenziali rivoluzionarie in patria e attirare nuove reclute è convincere l’occidente ad attaccarli.

È precisamente quello che voleva Osama bin Laden nel 2001. In realtà sperava che gli Stati Uniti invadessero l’Afghanistan, ma ha ottenuto anche il bonus della guerra in Iraq. I video che mostrano la decapitazione di ostaggi stranieri hanno l’obiettivo di trascinare i paesi occidentali nel conflitto, aumentando così la popolarità dell’organizzazione. Al momento la strategia sta funzionando benissimo.

La settimana scorsa il Global terrorism index, pubblicato ogni anno dall’Institute for economics and peace, ha riportato che le vittime del terrorismo sono quintuplicate dagli attacchi dell’11 settembre 2001, nonostante la “guerra al terrore” e i 4.400 miliardi di dollari spesi nelle guerre in Iraq e Afganistan e nelle operazioni antiterrorismo altrove. La verità è che queste azioni militari non sono una soluzione, ma una delle principali cause dell’aumento delle vittime.

Le invasioni, gli attacchi dei droni in Pakistan, in Yemen e in Africa e l’ingombrante apparato della “guerra globale al terrorismo” non hanno sconfitto il mostro. Al contrario, lo hanno nutrito e gli hanno permesso di crescere. Nel 2000 le vittime del terrorismo sono state 3.361. L’anno scorso il numero è salito a 17.958. Almeno l’80 per cento erano musulmani, come la stragrande maggioranza degli assassini: i terroristi dello Stato islamico in Siria e Iraq, Boko haram in Nigeria, i taliban in Afghanistan e Pakistan, Al Qaeda e i suoi discendenti nel resto del mondo (come Al Shabaab in Africa orientale).

Questo non significa che il terrorismo sia una tecnica esclusivamente musulmana. Le sue radici storiche affondano nelle lotte europee contro i regimi oppressivi a cavallo tra l’ottocento e il novecento. In seguito il terrorismo è stato un elemento importante nelle guerre di liberazione dal colonialismo dopo la seconda guerra mondiale, e persino la banda Stern in Israele e l’Esercito repubblicano irlandese possono essere considerati gruppi terroristici.

Successivamente questa tattica si è diffusa tra i movimenti dediti al “terrorismo urbano” in Europa, America Latina e Giappone negli anni settanta e ottanta (la banda Baader-Meinhof in Germania, le Brigate rosse in Italia, i Montoneros in Argentina, l’Armata rossa giapponese e così via), ma senza mai ottenere un successo politico. Il terrorismo prettamente “islamico” è nato negli anni novanta con l’emergere di forme radicali e anacronistiche di islam sunnita.

Soltanto il 5 per cento delle vittime di quest’ultima ondata di terrorismo viveva nei paesi industrializzati, ma la loro morte e l’ottusa risposta dei loro governi ha alimentato la spettacolare crescita del jihadismo. Cosa possiamo fare per risolvere il problema?

Il Global terrorism index offre alcune osservazioni utili. Per esempio, negli ultimi 45 anni molte organizzazioni terroriste hanno cessato la loro attività. Soltanto il 10 per cento di esse ha conquistato il potere e ha smobilitato l’ala terrorista, e appena il 7 per cento è stato eliminato dall’applicazione diretta della forza militare.

L’80 per cento delle organizzazioni terroriste è stato sconfitto grazie al miglioramento della sicurezza e alla creazione di un processo politico per risolvere i problemi che avevano creato la loro base di sostegno. La minaccia del terrorismo non si cancella combattendo la povertà o aumentando il livello dell’istruzione, perché tutto questo non ha alcun legame con l’ascesa del terrorismo. La minaccia si cancella affrontando i problemi che colpiscono specifici gruppi religiosi, etnici o politici.

La cosa più importante, comunque, è tenere alla larga i paesi stranieri, perché il loro intervento peggiora sempre le cose. È per questo che i terroristi li amano così tanto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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