03 maggio 2019 12:30

Il 4 maggio 1919 circa tremila studenti provenienti da diverse università di Pechino si riunirono davanti alla porta della Pace celeste, in quella che oggi si chiama piazza Tiananmen, per una manifestazione inedita. A un secolo di distanza, il “movimento del 4 maggio” è ancora ritenuto, secondo la formula del sinologo Jean-Philippe Béja, “un simbolo dell’ingresso del paese nella modernità”.

Il 30 aprile 2019, il numero uno cinese Xi Jinping, con il lirismo che caratterizza la propaganda ufficiale, ha dedicato un discorso alla ricorrenza invitando il Partito comunista cinese a “studiare e promuovere” lo “spirito del 4 maggio”, in modo da assicurare “il grande successo del socialismo di stampo cinese per la nuova era e realizzare il sogno cinese del ringiovanimento nazionale”.

Ma in realtà l’anniversario è avvelenato, come ogni tentativo cinese di creare una “storia nazionale” su misura. Innanzitutto perché questo è l’anno di tutte le “cifre tonde” e questo rende particolarmente nervoso il governo di Pechino: cent’anni dal 4 maggio, trenta dal massacro di piazza Tiananmen il 4 giugno, settanta dalla nascita della repubblica popolare il 1 ottobre. La prima “cifra tonda”, i sessant’anni dalla fuga del dalai lama dal Tibet in India, è trascorsa il 31 marzo senza intralci. Ma la primavera non è ancora finita…

Matrice comune
Paradossalmente il 4 maggio lo commemorano, oltre che a Pechino, anche a Taipei, capitale dell’isola “ribelle” di Taiwan. L’evento è infatti una matrice comune per tutte le correnti politiche cinesi, dai democratici ai comunisti ai nazionalisti. Gli studenti che nel 1919 si riunirono in un luogo simbolo della capitale protestavano contro un fatto che si era verificato a migliaia di chilometri di distanza, addirittura a Versailles.

I negoziati sul trattato che aveva messo fine alla prima guerra mondiale, infatti, avevano assegnato al Giappone la sovranità sui territori nella provincia di Shandong che nell’anteguerra erano controllati dalla Germania. Questo trasferimento tra grandi potenze fece infuriare gli studenti, scandalizzati da un trattato che ignorava le richieste cinesi e in cui vedevano il segno della debolezza della Cina, delle sue istituzioni e della sua cultura a pochi anni dalla fine dell’impero.

Tra la democrazia e la scienza la Cina ha privilegiato la seconda a scapito della prima

Il manifesto del 4 maggio proclamava: “Siamo convinti che solo la signora De (democrazia) e la signora Sai (scienza) possano salvare la Cina dall’oscurantismo delle sfere politiche, morali, accademiche e intellettuali. Per difendere queste due signore non ci fermeremo davanti a nessuna oppressione da parte del governo e a nessun attacco e insulto da parte della società, anche se dovessimo pagare con la vita”. Il fallimento del movimento portò i suoi promotori su strade diverse. Due anni più tardi, alcuni di loro parteciparono alla fondazione del Partito comunista cinese.

Sono passati cent’anni, ma quel dibattito resta attuale: tra i due pilastri della modernità identificati dagli studenti di piazza Tiananmen nel 1919, la democrazia e la scienza, la Cina ha privilegiato la seconda a scapito della prima.

Nel 1989 i nipoti di quegli studenti sono tornati sulla stessa piazza chiedendo di aggiungere la democrazia alle “quattro modernizzazioni” di Deng Xiaoping – agricola, industriale, militare e scientifica – ma furono repressi nel sangue. Con Xi Jinping il regime offre ancora meno spazio alla contestazione, ma i fantasmi del 4 maggio e del 4 giugno continuano a infestare piazza Tiananmen, alla ricerca di una modernità amputata, di un “sogno cinese” centenario ma ancora attuale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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