05 maggio 2022 11:54

Per descrivere il loro viaggio verso l’Europa i somali dicono tahriib, una parola araba usata per lo più per indicare attività illegali legate al traffico e al contrabbando. Chi sceglie di migrare deve attraversare Etiopia, Sudan e Libia, e poi il Mediterraneo in barca fino all’Europa. O almeno, quelli abbastanza fortunati da terminare il viaggio.

I loro familiari pagano migliaia di euro a trafficanti privi di scrupoli senza alcuna garanzia che questi mantengano le promesse iniziali: i prezzi possono lievitare anche dopo l’accordo, a viaggio in corso, e i disperati abbandonati prima di arrivare a destinazione. Eppure le persone continuano a provarci. E il cambiamento climatico gioca un ruolo sempre più importante nel prendere la decisione di partire.

Seduto a quaranta gradi sotto il sole nella Somalia sudoccidentale, Abdirahman Nur Hassan, anziano del posto e rappresentante del comitato sulla siccità della cittadina di Dollow, mi ha detto che in questa regione i viaggi illegali verso l’Europa erano rari, emigravano soprattutto i giovani disoccupati, ma “adesso i viaggi sono diventati la norma”. La siccità impedisce alle persone di sostentarsi nei loro luoghi di origine e spostarsi diventa una scelta obbligata. “Se questa siccità continuerà, le cose peggioreranno ancora, gli animali rimasti moriranno e le persone che vivono in quest’area si aggiungeranno agli sfollati”.

Uno dei paesi più vulnerabili
La situazione in Somalia è catastrofica. Sei milioni di persone vivono già sotto la soglia di insicurezza alimentare considerata critica, la stagione delle piogge è saltata per tre anni consecutivi e per questo 81mila persone sono vittime di carestia. Le Nazioni Unite hanno avvertito che 350mila bambini potrebbero morire se non saranno messi a punto programmi di assistenza alimentare adeguati. In base alle stime, quest’anno 1,4 milioni di bambini soffriranno di malnutrizione grave.

La crisi climatica ha giocato un ruolo significativo nel rendere i periodi di siccità più intensi e le piogge meno prevedibili

Secondo il Norwegian refugee council, l’ultima siccità ha provocato lo sfollamento di 745mila persone, soprattutto dopo gennaio. È difficile raccogliere dati precisi sui decessi: per i funzionari del governo e le organizzazioni umanitarie visitare i luoghi colpiti è sempre più complesso a causa del controllo esercitato dal gruppo islamista militante Al Shabaab su vaste aree del territorio.

La crisi climatica ha giocato un ruolo significativo nel rendere i periodi di siccità più intensi e le piogge meno prevedibili. La temperatura del pianeta è già aumentata di 1,1 gradi. La Somalia è considerata uno dei paesi più vulnerabili al cambiamento climatico, ed è uno dei luoghi dove gli effetti della crisi sono più evidenti e visibili.

La carestia del 2011 ha provocato la morte di 250mila persone. I periodi di siccità si susseguono uno dopo l’altro e le vittime non hanno nemmeno il tempo di riprendersi prima di dover affrontare quello successivo. La situazione è destinata a peggiorare: si prevede che entro la fine del secolo la temperatura media in Somalia aumenterà di tre gradi.

La crisi climatica è provocata in larga misura dalle emissioni occidentali, ma raramente ne è conseguito un aumento di aiuti finanziari per i paesi meno industrializzati che devono affrontare gli effetti di un disastro del quale non sono responsabili. Il Regno Unito ha una popolazione appena quadrupla rispetto a quella della Somalia, ma nel 2018, l’ultimo anno in cui sono disponibili i dati della Banca mondiale, ha prodotto una quantità di emissioni 520 volte superiore. Nel 2006 la proporzione era addirittura di 933 tonnellate di anidride carbonica a uno.

Garantire alle persone la possibilità di migrare potrebbe essere la forma di assistenza più efficiente

Secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, dal 2008 a oggi gli eventi meteorologici estremi hanno provocato una media di più di venti milioni di sfollati ogni anno. La maggior parte di queste persone resta all’interno dei paesi di origine e in Somalia io li ho visti: decine di migliaia di persone in accampamenti di fortuna, senza servizi igienici, senza acqua, con bambini che piangono per la fame, terrorizzati dalla pioggia che, quando arriva, trasforma l’intera area in una fogna a cielo aperto che contribuisce a diffondere malattie.

Ho parlato al telefono con il dottor Sukri Hussein Abdi, che lavora in un reparto specializzato nella stabilizzazione dei bambini denutriti e che negli ultimi mesi ha curato più di quattrocento pazienti. Ha definito gli effetti della siccità “indescrivibili”. “Le persone muoiono di fame, abbiamo bisogno di aiuti umanitari, di cibo, di riparo, di acqua potabile, per salvargli la vita”.

L’anno scorso il Regno Unito ha tagliato il fondi destinati agli aiuti umanitari di svariati miliardi sterline. Anche il piano di aiuti umanitari per la Somalia messo a punto dalle Nazioni Unite ha previsto finanziamenti assolutamente insufficienti.

Aiuti fondamentali dalla diaspora
Consentire la migrazione però potrebbe essere una forma più efficiente di assistenza. Garantire alle persone che vivono nei paesi meno ricchi un sistema per spostarsi più semplice, attraverso percorsi sicuri e legali verso paesi più ricchi, offrirebbe loro una sistemazione più sicura, dove poter trovare un lavoro e mandare soldi a casa. Nel 2020, secondo i dati della Banca mondiale, la Somalia ha ricevuto più di 1,7 miliardi di dollari in rimesse dall’estero, cioè circa il 25 per cento del suo pil.

In un negozio a Dollow ho incontrato Abdiweli Dirie Osman, un commerciante. Ogni cinque giorni riceve fino a 300 dollari da cittadini somali che vivono all’estero e li usa per acquistare sacchi di riso, sorgo, olio per cucinare e altri generi di prima necessità, che poi distribuisce alle famiglie più bisognose. “La diaspora raccoglie ciò che può”, dice. Questo tipo di beneficenza è diffuso in tutto il paese.

La sorella di Osman vive in Germania da dieci anni. “Tutte le famiglie hanno qualcuno che vive in Europa”, dice. “La vita qui è molto difficile, ci sono cicli di siccità. Chi emigra vuole avere una vita diversa”. Osman non ha idea di quante persone abbiano abbandonato questa regione alla volta dell’Europa. “Se ne vanno da così tanto tempo che è difficile tenere il conto. Succede di continuo”. Anche lui ha sentito dire che durante i periodi di siccità i numeri aumentano.

Quando gli ho chiesto se è a conoscenza dei pericoli del viaggio è scoppiato a ridere. “Le persone sanno di correre rischi. Il percorso è quello. Speriamo che un giorno possano esserci corridoi più sicuri. Ma questo giova alla società. Nei periodi di siccità gli immigrati sono una risorsa vitale per la nostra società”.

Secondo gli esperti, per ogni grado di innalzamento della temperatura del pianeta un miliardo di persone sarà costretto a lasciare le proprie case o a vivere in condizioni di caldo insopportabile. È urgente chiederci come migliorare la situazione, sia per chi parte sia per chi resta.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian. Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Africa. Ci si iscrive qui.

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