La specie umana, rispetto alle altre, si distingue per un grado molto alto di diversità culturale. È fatta, alla radice, di diversità linguistica. Ma, nati in larga misura come apparati degli stati, i sistemi scolastici hanno stentato a riconoscere la pluralità linguistica. Le Monde dell’8 agosto dedica un lungo articolo alla storia tragicomica di quel che da più di vent’anni avviene in Francia in questa materia.
Nel 1992 fu varato un trattato internazionale, la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, che prevede la firma dei governi, poi la ratifica parlamentare e infine la non ovvia entrata in vigore. La carta intende promuovere tutela e utilizzazione delle lingue locali, essenzialmente attraverso un’adeguata educazione linguistica “non a scapito delle lingue ufficiali di stato”.
In oltre vent’anni l’apparato giuridico-burocratico francese è riuscito a bloccare prima la firma, avvenuta solo nel 1999, e poi la ratifica del trattato, nonostante i buoni risultati e le proposte arrivate dal mondo degli studi. E nonostante le pressioni del parlamento europeo e le prese di posizione ufficiali di due presidenti della repubblica, Jacques Chirac e François Hollande, e del partito socialista, che è stato spesso in maggioranza. Ma non è una storia solo francese. Dei 47 paesi del Consiglio d’Europa finora 14 non hanno mai firmato, 25 hanno firmato e poi ratificato, 8 sono a metà del guado, come Italia e Russia e Francia, che hanno firmato, ma non stanno ratificando.
Questa rubrica è stata pubblicata il 11 settembre 2015 a pagina 94 di Internazionale, con il titolo “Plurilinguismo proibito”. Compra questo numero | Abbonati
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it