04 giugno 2013 08:27

Finora esistevano due Turchie, ma ormai sono diventate tre. Da una parte c’era la Turchia conservatrice e maggioritaria, quella delle campagne e dei poveri, della piccola borghesia e delle piccole e medie imprese in grande crescita, legata al buon costume e all’ordine morale e base elettorale degli islamici (divenuti “islamo-conservatori”) del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), al potere dal 2002 e vincitore di tre elezioni consecutive.

Dall’altra parte c’era una seconda Turchia, più giovane, più urbana, la Turchia del laicismo di destra e di sinistra e dei figli di Kemal Atatürk, il padre della patria che tra le due guerre ha vietato il velo, concesso il diritto di voto alle donne e sancito la separazione tra religione e stato. Queste due realtà erano separate da una linea di demarcazione netta, ma dallo scorso fine settimana è emersa una terza forza all’interno dell’Akp. Davanti alle manifestazioni che scuotono il paese ormai da cinque giorni, infatti, il partito al potere si è diviso in due correnti, quella della linea dura e quella favorevole al dialogo.

Alla prima corrente appartiene senz’altro Recep Tayyip Erdoğan, l’autoritario primo ministro che vorrebbe far passare la Turchia da un sistema parlamentare a uno presidenziale, e che oggi è il bersaglio principale dell’ostilità della seconda Turchia. Nonostante abbia pubblicamente criticato l’uso della violenza da parte della polizia contro i manifestanti, Erdoğan non intende fare un passo indietro. Non soltanto vuole procedere con le modifiche urbane che hanno spinto migliaia di persone a scendere in strada, ma accusa i manifestanti di essere strumentalizzati dagli estremisti e di avere legami con l’estero. Opponendo le sue vittorie elettorali alle richieste della piazza e minacciando di radunare due milioni di sostenitori, Erdoğan continua ad alzare la posta.

Nel frattempo però l’altra grande figura dell’Akp, il presidente Abdullah Gül, mostra un atteggiamento del tutto diverso. Gül ricorda che la democrazia non si limita alle elezioni ma include anche la consultazione e il rispetto degli altri, e insieme a lui anche il vice primo ministro Bülent Arinc ha cominciato a predicare la via del dialogo, “piuttosto che lanciare gas sulla gente”. In questo momento l’Akp si è pubblicamente spaccato tra una destra autoritaria e una destra moderata che si preoccupa della coesione nazionale e dell’immagine internazionale della Turchia.

Stiamo assistendo a una nuova tappa nell’evoluzione dei vecchi islamici, a una crisi nella crisi che scinde il campo degli islamoconservatori in una destra e un centrodestra. È una buona notizia, ma nel frattempo la Turchia continua a scivolare nell’incertezza e alimenta la confusione generale che domina il Medio Oriente.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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