27 gennaio 2014 07:00

Sabato sera Viktor Janukovič ha offerto all’opposizione le cariche di primo ministro e vicepremier, ovvero i comandi un governo a cui sarebbe disposto a cedere parte dei suoi poteri. La risposta è arrivata a stretto giro. Chiara, inequivocabile.

L’opposizione non ha alcuna intenzione di accettare, forte delle manifestazioni di protesta che vanno avanti notte e giorno nel centro di Kiev nonostante il gelido inverno ucraino. Gli oppositori del presidente hanno rifiutato l’offerta perché i manifestanti più intransigenti non glielo avrebbero mai perdonato, furiosi per il sangue che continua a scorrere e per l’arresto dei loro compagni (a volte addirittura in un letto d’ospedale).

L’intransigenza dell’opposizione nasce anche dal fatto che Janukovič è chiaramente in difficoltà. La sua squadra è spaccata tra sostenitori del compromesso e partigiani della linea più dura e brutale. I grandi imprenditori si allontanano dal presidente, come se non credessero più nella sua capacità di riprendere in mano la situazione. Janukovič non può nemmeno contare su un intervento diretto della Russia, poco incline a lasciarsi invischiare in una faccenda pericolosa. L’esercito ucraino, dal canto suo, non intende inviare i carri armati contro i manifestanti nel timore di ripetere in piena Europa le scene di piazza Tien An Men e fomentare la contestazione anziché stroncarla.

A Kiev il governo tiene botta, ma 14 amministrazioni regionali su 25 sono ormai occupate o circondate e costrette all’inattività. La paura sta cambiando campo, e ora è il potere a tremare. Non soltanto in Ucraina occidentale, storicamente legata all’Europa, ma anche nella parte orientale e russofila del paese. Poco a poco Janukovič sta perdendo le redini del potere, e in questo senso la sua offerta può essere interpretata come un segno di debolezza e dunque rivelarsi controproducente.

Ma dove sta andando l’Ucraina? È ancora possibile che sentendosi con le spalle al muro il presidente rischi il tutto per tutto e ordini alla polizia di sgombrare il centro di Kiev a qualunque costo? Una svolta di questo tipo, per quanto non esclusa, appare in realtà sempre più improbabile. Allo stato attuale, infatti, è difficile immaginare uno scenario in cui la polizia arresta migliaia di manifestanti (alcuni dei quali conosciuti a livello internazionale) e il governo accelera il riavvicinamento con Mosca, che tra l’altro non vorrebbe mai apparire come il mandante di un eventuale bagno di sangue proprio alla vigilia dei giochi olimpici invernali di Sochi.

La via del dialogo resta la più percorribile. Il parlamento ucraino si riunirà il 28 gennaio, mentre a Kiev e nelle capitali estere si moltiplicano le trattative, spesso a porte chiuse. Comunque vada, la soluzione del conflitto passa necessariamente per un accordo (anche implicito) tra l’Unione europea e la Federazione russa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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