08 maggio 2014 07:00

A quanto pare Mosca ha deciso di modificare la sua posizione sull’Ucraina. Non è ancora il momento di abbandonare la prudenza, perché già in passato Vladimir Putin e il suo ministro degli esteri Sergei Lavrov hanno cambiato strategia per alimentare i dubbi sulle loro intenzioni, ma resta il fatto che mercoledì il presidente russo ha nettamente smorzato i toni.

Innanzitutto Putin ha inviato i separatisti filorussi, definiti “rappresentanti dell’Ucraina sudorientale” e “sostenitori di una federalizzazione del paese”, a “rinviare” il referendum in programma domenica prossima. Il Cremlino potrebbe aver agito in questo modo anche perché, diversamente da quanto accaduto in Crimea, la Russia e i suoi sostenitori  non possono contare su una grande partecipazione allo scrutinio in quanto controllano soltanto poche città e non esiste un reale movimento popolare che appoggi le loro azioni.

Il gesto di buona volontà di Putin potrebbe nascere esclusivamente da un rinnovato realismo, che rappresenta comunque il primo passo verso la saggezza. Inoltre questo sviluppo comporta un allentamento della tensione, perché un referendum, per quanto clamorosamente truccato, avrebbe creato una situazione irreversibile. In questo senso è incoraggiante notare che i separatisti sembrano aver accolto il suggerimento di Mosca esprimendo “grande rispetto per Putin” e dichiarando che “se lui pensa sia necessario, sicuramente ne discuteremo”.

La decisione dei separatisti dovrebbe arrivare nella giornata di giovedì, e intanto il presidente russo è pronto a fare una seconda concessione, ben più importante della prima. Putin ha infatti dichiarato che le elezioni presidenziali del 25 maggio potrebbero svolgersi a condizione che le violenze si interrompano. Si tratta di una chiara inversione di marcia, perché finora Mosca aveva giudicato lo scrutinio illegittimo perché organizzato da un potere “golpista”, la “giunta fascista di Kiev”. Ora Putin non rifiuta più l’idea delle elezioni, ma ne subordina il riconoscimento a un ritorno alla calma, ovvero a un’interruzione dell’offensiva dei leader ucraini contro le città in mano ai separatisti.

Se le dichiarazioni di mercoledì non saranno rinnegate o smentite, potranno aprire la strada al grande compromesso voluto dalle capitali occidentali e basato su un quid pro quo: le presidenziali e il riconoscimento da parte di Mosca del nuovo capo di stato ucraino in cambio di una riforma costituzionale per federare il paese e dare alla Russia un diritto di veto sulle sue politiche.

Una soluzione di questo tipo non sarebbe inaccettabile, anche perché rispecchierebbe l’attuale rapporto di forze e sarebbe comunque meglio della guerra e dell’isolamento economico della Russia. Ancora niente è sicuro, e potremmo cominciare ad avere fiducia soltanto quando le truppe russe si saranno allontanate dalla frontiere Ucraina. Putin ha promesso il ritiro, ma è meglio aspettare i fatti.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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