15 marzo 2016 13:55

Questa città di pastori, seppellita sotto una città di soldati,
seppellita sotto una città di giuristi, seppellita sotto una città di preti,
seppellita sotto una città di artigiani e commercianti,
seppellita sotto una città di burocrati,
seppellita a sua volta sotto chissà quale città.
Carlo Levi, Roma fuggitiva

Su una facciata senza finestre di una casa popolare di San Basilio, nella periferia est di Roma, Blu ha disegnato un murale alto 14 metri. Un santo con la barba lunga e la veste d’oro che cammina baldanzoso in una cornice di cielo e soffici nuvole bianche. Blu è stato definito dal Guardian uno dei migliori street artist del mondo: tutti lo conoscono, ma nessuno sa chi è davvero perché l’artista di origine marchigiana ci tiene a mantenere l’anonimato. “Voglio che parlino le mie opere. Non si tratta solo di muri”, ci ha scritto in un’email, commentando il murale di San Basilio e rifiutando di farsi intervistare.

Blu è tornato all’onore delle cronache negli ultimi giorni, quando ha deciso di cancellare tutte le sue opere dalle facciate degli edifici di Bologna, per combattere la strumentalizzazione della street art, diventata oggetto di consumo, sottoposta ai valori del mercato. Voleva restituire alle opere di strada l’elemento di precarietà che le caratterizza: l’arte di strada è destinata a trasformarsi insieme all’ambiente che la circonda, e prima o poi, le opere sono anche destinate a sparire, a essere rovinate o coperte. L’idea di Blu di cancellare i suoi lavori è stata una reazione alla mostra organizzata da un’associazione locale, guidata dall’ex rettore dell’università e presidente di una banca d’investimento del gruppo Intesa-Sanpaolo, Fabio Roversi Monaco, e realizzata con i murales più pregiati strappati dai muri della città.

“A Bologna non c’è più Blu, e non ci sarà più finché i magnati magneranno. Per ringraziamenti o lamentele sapete a chi rivolgervi”, ha scritto sul suo sito l’artista per spiegare una scelta che ha provocato polemiche.

Non è la prima volta che Blu decide di cancellare le sue opere, era già successo a Berlino, quando si era schierato contro la speculazione edilizia e la gentrificazione che ha colpito alcuni quartieri della città come Kreuzberg, proprio quelli con più opere d’arte di strada.

L’intransigenza di Blu, lo spirito iconoclasta che caratterizza le sue opere era già emerso nella vicenda di San Basilio, quando il suo murale era stato censurato dalle autorità.

Nel murale di piazza Recanati, san Basilio – teologo delle prime comunità cristiane e padre del monachesimo orientale – cammina con passo sicuro verso i caseggiati popolari del quartiere, con una mano blocca la polizia, accorsa a sgomberare le case occupate, e con l’altra impugna una cesoia con cui rompe un lucchetto. Intanto decine di piccoli uomini ai suoi piedi scendono in strada, salgono sui tetti per difendere l’occupazione. “La casa è di chi la abita”, dice uno striscione sventolato dai manifestanti.

Il murale di Blu a San Basilio, Roma. (Annalisa Camilli, Internazionale)

San Basilio diventa il santo delle occupazioni, il santo del diritto alla casa e con la luce che nasce dalle sue mani produce un incantesimo: ferma i poliziotti, schierati in tenuta antisommossa. Alcuni si inginocchiano alla vista della luce, altri sono trasformati in pecore e in maiali che si mettono a pascolare sul prato.

Il tema delle occupazioni abitative e del diritto alla casa sono cari a Blu. Molti street artist realizzano le loro opere sui muri delle case occupate per proteggerle dagli sgomberi e raccontare ai passanti la storia dei luoghi e dei conflitti che li abitano. Con questo spirito, per esempio, a Roma è nato il Maam, il Museo dell’altro e dell’altrove, una raccolta di opere di artisti di strada, all’interno dell’occupazione dell’ex stabilimento Fiorucci sulla via Prenestina.

Ma la provocazione di Blu a San Basilio non è piaciuta alle autorità, e così, qualche giorno dopo essere stato realizzato, il murale è stato censurato. Un’unità per il decoro urbano del comune di Roma è arrivata nottetempo armata di pennelli, e ha cancellato con la vernice bianca solo il particolare che ritraeva la polizia, lasciando intatto il resto dell’opera. Gli abitanti del quartiere non hanno tardato a rispondere. Poco dopo sul bianco è apparsa una scritta rossa: censurato. A San Basilio i muri parlano.

La morte di un ragazzo

Il murale di Blu è dedicato a Fabrizio Ceruso, un ragazzo di 19 anni, morto a San Basilio l’8 settembre del 1974, durante gli scontri durati tre giorni che hanno coinvolto il comitato di lotta per la casa, molto attivo a Roma in quel periodo, e la polizia. Le forze dell’ordine volevano sgomberare 150 famiglie che avevano occupato alcune palazzine popolari del quartiere, un anno prima. Per il quarantennale della morte di Ceruso alcune associazioni, riunite nel progetto progettosanbasilio.org, hanno chiesto a Blu di ricordare quella che da queste parti viene definita “una battaglia”.

La targa che ricorda Fabrizio Ceruso in via Fiuminata è di bronzo ed è solenne, ma la bandiera rossa appoggiata a fianco della lapide è scolorita, sembra essere stata abbandonata da qualcuno che è dovuto scappare. Davanti alla targa, dei garofani colorati spuntano dai vasi, appoggiati sul marciapiede. Somiglia a uno dei tanti altarini che sul bordo della carreggiata ricordano le vittime della strada, invece c’è scritto: “Qui è caduto assassinato dalla polizia Fabrizio Ceruso, comunista rivoluzionario di 19 anni accorso al fianco dei proletari di San Basilio in lotta per la casa”. Firmato: la popolazione di San Basilio, e la data: 8 settembre 1974.


Se lo ricordano tutti quel giorno da queste parti. Tra i lacrimogeni, le sassaiole, gli spari: una vera e propria battaglia tra forze dell’ordine e abitanti del quartiere, che ha coinvolto anche numerosi militanti di gruppi della sinistra extraparlamentare romana, venuti da tutta la città per sostenere le famiglie che avevano occupato le palazzine dell’Istituto autonomo case popolari (Iacp) di via Montecarotto.

Maria Pallotta, un’abitante di San Basilio ricorda: “È stata una giornata davvero brutta. Era giorno, era pomeriggio e s’è fatto buio per quello che buttavano. C’era un gran fumo. È stata davvero una cosa molto brutta, abbiamo realizzato cosa può significare essere assediati”.

Ceruso aveva 19 anni, era di Tivoli, era uno studente e un cameriere

L’8 settembre era una domenica di fine estate e la battaglia era cominciata molto presto al mattino, quando la polizia e i carabinieri avevano fatto irruzione all’interno delle palazzine occupate. Furono schierati circa mille agenti. Gli occupanti erano stati costretti a uscire dalle case e gli abitanti del quartiere accorsi sul posto avevano attaccato le forze dell’ordine con sassi e molotov. La battaglia era andata avanti tutto il giorno, ma in serata gli scontri si erano intensificati. Intorno alle 19 Fabrizio Ceruso fu colpito da uno sparo e morì durante il trasferimento in ospedale. Oltre al ragazzo ci furono decine di feriti, anche tra le forze dell’ordine.

Il quotidiano L’Unità il giorno successivo dedicò la prima pagina alla morte del ragazzo: era la prima volta che qualcuno moriva durante una protesta del comitato di lotta per la casa, molto attivo a Roma in quegli anni.

Ceruso aveva 19 anni, era di Tivoli, era studente e cameriere, era figlio di un netturbino e faceva parte del Comitato di lotta per la casa e dell’Autonomia operaia, alla sua famiglia avevano da poco assegnato un alloggio popolare a Villa Adriana, vicino Tivoli.

La notizia della morte del ragazzo si diffuse rapidamente e gli scontri nella borgata andarono avanti tutta la notte in maniera ancor più violenta. Il quartiere rimase al buio, in stato di assedio, furono sparati altri colpi di arma da fuoco sia da parte della polizia sia da parte dei manifestanti, ci furono decine di feriti. Nei giorni successivi furono inviati altri duemila agenti di polizia per presidiare la zona.

Ma poi all’improvviso per ordine del ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani la polizia si ritirò dalla borgata, le famiglie occupanti tornarono nelle case e qualche giorno dopo le autorità trovarono degli alloggi per le famiglie di San Basilio, che quindi interruppero l’occupazione.

La fine della piccola Stalingrado

All’inizio degli anni settanta a Roma circa centomila famiglie vivevano in alloggi precari e le occupazioni di stabili appena costruiti erano abbastanza diffuse come strumento di lotta dei comitati per la casa. La battaglia di San Basilio del 1974, quella rappresentata dal murale di Blu, è stata solo l’ultimo episodio di una storia di lotte e rivendicazioni da parte degli abitanti del quartiere. Il ricercatore Gian Giacomo Fusco nel suo libro Ai margini di Roma capitale ha scritto:

All’interno dello scenario della lotta per la casa, che ha investito Roma per più di tre decenni, San Basilio è uno dei luoghi in cui questo conflitto sociale ha assunto le modalità più estreme. Fin dai primi anni sessanta le palazzine dell’Istituto autonomo case popolari sono soggette a occupazioni a cui seguono sgomberi delle forze dell’ordine. Non solo, gli abitanti della borgata erano spesso protagonisti di occupazioni in altre zone della capitale, sotto la direzione dei comitati e dei sindacati attivi nella questione della casa. San Basilio era una piccola Stalingrado dove il Pci raggiungeva tra il 50 e il 60 per cento dei consensi.

Gi scontri che durarono giorni, il massiccio impiego delle forze dell’ordine e infine il tragico epilogo dei fatti del 1974 con la morte di Ceruso ebbero come conseguenza l’allontanamento della gran parte degli abitanti di San Basilio dalla politica attiva in cui la borgata era stata impegnata nei decenni precedenti. Il sistema di solidarietà e di organizzazione sociale che aveva caratterizzato il quartiere negli anni del boom economico e dell’espansione della borgata lentamente si sgretolò. Come ha scritto Fusco:

Questi avvenimenti che senza mezzi termini vengono ricordati dagli abitanti del quartiere con il termine ‘guerra’ rappresentano un punto di svolta nella storia del quartiere. La risposta delle istituzioni alle occupazioni aveva palesato in modo più che evidente che non vi erano più margini d’azione per il movimento di lotta per la casa. Inizia così per il quartiere la fine del ciclo di lotte che aveva per decenni cercato di sollevare il destino di centinaia di migliaia di borgatari relegati nei luoghi della marginalità all’estrema periferia della città di Roma.

Anche Massimo Sestili nella ricerca Sotto un cielo di piombo. La lotta per la casa in una borgata romana conferma che il tragico epilogo della battaglia di San Basilio ha significato soprattutto “la fuga dall’impegno politico e l’arrivo devastante della droga nel quartiere”.

La retorica del decoro colpisce anche l’arte di strada

San Basilio è una delle piazze più grosse per lo spaccio di droga a Roma. Nel quartiere lo scorso anno la guardia di finanza ha scoperto una banda che commercializzava cocaina per un giro d’affari di quattro milioni di euro all’anno. Qualche mese fa hanno sparato alle gambe a un ragazzo di 17 anni, poi è successo lo stesso a un uomo di 46 anni. In entrambi i casi probabilmente si è trattato di un regolamento di conti tra bande rivali.

I palazzi del quartiere sembrano alveari, la criminalità usa i lotti popolari per fare affari. Al lotto 17 è stata smantellata una rete criminale per la distribuzione della droga che si serviva di vedette e di “batterie” di pusher che spacciavano cocaina in tutta la città. “Lo stato in quartieri come San Basilio combatte ogni giorno contro la criminalità organizzata e per questo il murale di Blu è stata interpretato come una provocazione fuori luogo”, spiega Pietro, un abitante del quartiere.

Il comune di Roma ha spiegato il gesto di censurare il murale di Blu in un comunicato: “Il murales realizzato nel quartiere San Basilio rappresenta una violazione del codice penale (articolo 342) in quanto contiene messaggi offensivi nei riguardi delle forze dell’ordine. Per questo motivo si è deciso di procedere alla sua rimozione”.

Murales di Hitnes sui caseggiati popolari di San Basilio, nell’aprile del 2015. (Simona Pampallona)

Ma la maggioranza degli abitanti del quartiere non è d’accordo con le autorità, la forza di opere come quella di Blu sta nella loro capacità di riscattare l’identità del quartiere segnata dalla marginalità. “Mentre Blu dipingeva il suo murale che reinterpreta i fatti del 1974, nessuno ha mostrato disaccordo o insofferenza rispetto al disegno dell’artista”, racconta Matteo, un ragazzo del comitato progettosanbasilio.org.

Gli abitanti del condominio avevano dato il loro assenso, così come, in maniera ufficiosa, anche i responsabili dell’Ater: “È venuta una pattuglia dei vigili urbani durante i lavori, ma non li ha interrotti, né ha chiesto se avevamo le autorizzazioni. Anche il responsabile dell’Ater (Agenzia territoriale edilizia residenziale), proprietaria del palazzo, si è informato sullo stato dei lavori, ma non si è opposto al murale”, racconta Matteo.

In un comunicato i sostenitori del progetto hanno condannato l’azione di censura: “La sdegno creato dal dipinto nell’intera amministrazione comunale e la rapidità con cui si è palesato sono sorprendenti. Le istituzioni da queste parti si fanno vedere solo per reprimere o per curare i propri interessi”.

È nella tensione tra la libertà dell’artista e l’interpretazione del pubblico che sta il valore di un’opera

Il murale di Blu è stato disegnato proprio mentre nel quartiere veniva realizzato un altro progetto di arte urbana, il progetto Sanba, che prevede la realizzazione di numerosi murales di artisti come Hitnes, Liqen, Agostino Iacurci, con il finanziamento del comune di Roma e della Fondazione Roma.

Se da una parte le istituzioni manifestano interesse per queste forme di arte e per il loro potenziale di riqualificazione dei quartieri, d’altra parte vogliono controllarne la carica provocatoria, la funzione di critica sociale, vogliono segnare un confine tra quello che è arte e quello che non lo è. E c’è chi sospetta che questi progetti di arte urbana siano interventi puramente estetici, funzionali all’innalzamento del prezzo degli immobili e all’assenza di politiche pubbliche per la città. Un modo per non occuparsi dei problemi delle periferie: la mancanza di trasporti, di case popolari, di scuole dell’infanzia e di asili pubblici, la difficoltà ad accedere agli eventi culturali, l’assenza di welfare e di servizi.

Un ragazzo pratica il parkour su un murale di Liqen a San Basilio, nell’aprile del 2015. (Simona Pampallona)

La filosofa femminista Tamar Pitch nel suo libro Contro il decoro ha scritto:

Negli ultimi anni il desiderio di protagonismo dei sindaci si esercita nel produrre un ordine analogo a quello che si immagina esista o debba esistere in una casa perbene, dove la casalinga della pubblicità caccia fuori lo sporco (spesso non a caso raffigurato come un mostro). Lo sporco ha a che vedere con tutto ciò che eccede, tutto ciò che è percepito come contaminante e impuro.

Per Pitch l’ideologia del decoro, che è alla base anche della censura del murale di Blu a San Basilio, è legata al controllo delle classi sociali subalterne e al depotenziamento della loro conflittualità:

Gli ultimi trent’anni hanno contrapposto libertà e uguaglianza, facendo dell’uguaglianza l’ostacolo all’affermazione individuale, il freno della crescita. Questa libertà però è solo di chi se la può permettere, e negli anni recenti sempre meno persone se la possono permettere. E allora accanto alla paura, ci vuole qualcos’altro per tenere a bada chi non ce la fa: l’appello al decoro.

La distinzione tra perbene e permale e la retorica stessa del decoro dicono anche della crisi della politica, la sua progressiva sostituzione con logiche di tipo morale: “Non si parla più di dominanti e dominati e il conflitto tra le classi è scomparso dal lessico della politica sostituito da quello tra buoni e cattivi”.

Sullo stesso tema Christian Raimo ha scritto: “La retorica del degrado e quella speculare del decoro sembrano diventate le uniche possibilità di discutere dell’amministrazione urbana. Non è difficile considerare invece come degrado e decoro siano due pseudoconcetti, due termini che riguardano la percezione della città e non il suo reale funzionamento”.

Un’ideologia che gli artisti non possono accettare. Sul suo blog Blu ha scritto:

Quindi, il compitino di oggi è questo: come raccontare la storia di Fabrizio Ceruso e della battaglia di San Basilio in modo politicamente corretto? Potete inviare le vostre idee al seguente indirizzo: sindaco@comune.roma.it (non sono graditi: misticismi, miracoli, suini, ovini e possibili riferimenti orwelliani).

Non era la prima volta che Blu veniva censurato, era già successo a Los Angeles nel 2010, in quell’occasione l’artista aveva scritto una lettera che in un passaggio diceva: “Mi capita spesso di dipingere soggetti forti, ma lascio sempre l’interpretazione aperta allo spettatore e questo può generare discussioni. La reazione delle persone è la cosa più interessante per me. Vedere questo pezzo come ‘offensivo’, era un’interpretazione, non l’unica interpretazione possibile”.

Dar da pensare, eludere il controllo, stravolgere gli stereotipi, mettere in discussione i limiti, portare alla luce i conflitti, provocare: è nella tensione tra la libertà dell’artista e l’interpretazione del pubblico che sta il valore di un’opera. Come dice Blu: “Non si tratta solo di muri”.

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